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martedì 29 novembre 2011

Omelia del cardinale Piacenza sulla musica

Voglio citare l'omelia del cardinale Mauro Piacenza, prefetto della Congregazione per il Clero, tenuta durante la Santa Messa in onore di Santa Cecilia, patrona dei musicisti, lo scorso 22 novembre. Di essa vorrei porre all'attenzione dei lettori una frase in particolare: «Nella Liturgia quindi non è l’uomo ad inventare qualcosa e poi a cantarlo, ma il canto “proviene dagli angeli”, cioè l’uomo deve innalzare il suo cuore affinché concordi con la tonalità che gli giunge dall’alto, stando davanti a Dio, in adorazione». E' un paradigma generale che va applicato a tutta la liturgia, ed alla musica sacra in quanto parte integrante della liturgia stessa. L'uomo usa i suoi mezzi propri e il frutto del suo lavoro, come pane e vino, parole e canto sacro, affinché, per grazia di Dio, possa essere innalzato alla grandezza dell'Altissimo. Per questo è necessario che tutto ciò che l'uomo offre nella liturgia sia buono e autentico; ma le categorie di bontà ed autenticità sono oggi sotto l'attacco spietato del relativismo, per il quale tutto, a seconda dei punti di vista, può essere considerato buono e degno di far parte della liturgia. Ma la bontà a cui la liturgia assurge è quella di Dio, che è l'unico ad essere Buono; come fare, dunque, per attenersi a questo supremo modello di bontà? Con umiltà e obbedienza al Magistero della Chiesa, che il Signore stesso ci ha indicato di seguire consegnando a Pietro le chiavi; senza avere la pretesa di inventare nuove formule, che stravolgano il rito, o di importare ritmi e musiche profani solo per il gradimento che essi riscuotono fuori dal tempio. In altre parole, l'uomo deve dedicare al culto di Dio quanto di meglio l'umanità abbia realizzato, specie nel campo delle arti; far fatica per cercare di imitare i modelli che la Chiesa ci addita (il canto gregoriano, la polifonia sacra e i canti che sorgono dalle devozioni popolari) e non eseguire il genere di musica che piace di più, anche se in esso non si ravvisa nemmeno una traccia di sacralità. Umiltà, obbedienza e temperanza: delle virtù che siamo chiamati ad imparare e a praticare, proprio durante questo tempo di Avvento, in tutti gli aspetti della nostra vita.

La musica è via maestra di bellezza e di evangelizzazione
Omelia del Cardinale Mauro Piacenza

In quella straordinaria espressione artistica dell’uomo che chiamiamo “musica”, è possibile riconoscere, forse meglio e più intensamente che in ogni altro “luogo”, la presenza del Mistero.

Affermava il Santo Padre Benedetto XVI nell’Udienza generale dello scorso 31 agosto: «Ci sono espressioni artistiche che sono vere strade verso Dio, la Bellezza suprema, anzi sono un aiuto a crescere nel rapporto con Lui, nella preghiera. […] Mi torna in mente un concerto di musiche di Johann Sebastian Bach, a Monaco di Baviera, diretto da Leonard Bernstein. Al termine dell’ultimo brano, una delle Cantate, sentii, non per ragionamento, ma nel profondo del cuore, che ciò che avevo ascoltato mi aveva trasmesso verità, verità del sommo compositore, e mi spingeva a ringraziare Dio. Accanto a me c'era il vescovo luterano di Monaco e spontaneamente gli dissi: “Sentendo questo si capisce: è vero; è vera la fede così forte, e la bellezza che esprime irresistibilmente la presenza della verità di Dio».
La bellezza che così si sperimenta è la gloria di Dio che trasfigura il mondo!
La bellezza, così intesa, non è immagine statica da contemplare, ma è attiva e dinamica, è in movimento, è forza che agisce e compie: la percezione della bellezza è un varco che si apre su una realtà più grande, è un varco che si apre nel mondo di Dio.
La bellezza si realizza in una forma che, se assumesse un significato finalizzato a se stesso, fossilizzerebbe la vita, ridurrebbe il rapporto tra il cuore dell’uomo e l’Infinito.
Al contrario, è proprio attraverso questo rapporto con l’infinito che si realizza la creatività stessa, che contempla questa bellezza e la traduce in una certa forma, ma la bellezza è eterna, mentre la forma è provvisoria.
La musica è via maestra di bellezza e, mi si permetta, di evangelizzazione!
In un epoca nella quale non esistevano ancora tutti i sistemi di riproduzione musicale della nostra società, ascoltare musica, soprattutto nella Liturgia, era realmente una “esperienza celestiale”.
In tal senso la musica è eterna, anche perché sempre riproducibile.
Mi ha sempre colpito l’esempio di Marija Judina, una dei più grandi pianisti russi del ‘900, la pianista che commosse Stalin. «Sconosciuta in Occidente ed emarginata in patria - dove pure era considerata un prodigio di perfezione musicale e tecnica - perché il regime aveva paura della sua fede senza riserve, del suo temperamento indomito e della sua indipendenza di vedute. Tutti aspetti, questi, che non venivano semplicemente dal suo carattere, ma da un nucleo interiore che lei riconosceva come ineliminabile, irriducibile nell’uomo. Al tocco delle sue dita («artigli d’aquila», le definì Šostakovic), i tasti del pianoforte evocavano un altro mondo, trasfigurato, purificando la realtà da miserie e piccinerie, infondendole significato e speranza, donandole la bellezza».
Il critico musicale Piero Rattalino racconta in un’intervista che quando Stalin ascoltò, nel 1943, alla radio l’esecuzione dal vivo di Marija Judina, del Concerto per pianoforte e orchestra n. 23 in La Maggiore K 488 di Mozart, ne restò colpito e volle a tutti i costi il disco.
Nessuno ebbe il coraggio di dirgli che il concerto non era stato registrato, che era una diretta effettuata negli studi della radio di Mosca e così venne inciso nella notte, in gran segreto.
Il disco venne confezionato in pochi esemplari e recapitato al tremendo ammiratore.
Stalin si mostrò generoso, e fece avere alla Judina ventimila rubli, una cifra strepitosa per l’epoca. Ma lei li rifiutò per sé e così rispose al dittatore: «La ringrazio per il Suo aiuto, Iosif Vissarionovič. Pregherò giorno e notte per Lei e chiederò al Signore che perdoni i Suoi gravi peccati contro il popolo e la nazione. Dio è misericordioso, La perdonerà. I soldi li devolverò per i restauri della mia parrocchia». Si dice che il disco con il concerto della Judina fosse sul grammofono di Stalin, quando lo trovarono morto nella sua dacia».
La pianista amava ripetere di essere consapevole delle proprie debolezze, ma pensava che la grandezza dell’uomo non fosse principalmente nelle sue doti, bensì nell’impulso «ad “osare” che nasce con lui e muore solo dopo di lui, nel suo cuore che ha sete d’infinito»; per tacitarlo – diceva citando Dostoevskij, «bisognerebbe tagliare la lingua a Cicerone, cavare gli occhi a Copernico, lapidare Shakespeare…».
L’incontro con gli artisti attraverso le loro opere e le loro esecuzioni (musicali, canore, pittoriche, scultoree, architettoniche, poetiche e letterarie) è, allora, incontro con la loro anima, con la loro sete d’infinito che può esprimersi in forme diverse.
Certamente, a maggior ragione, questo accade con la musica composta, pensata, scritta per Dio, per la divina Liturgia.
La Parola di Dio espressa in parole di uomini conserva un “non dicibile” che si esprime in canto, affinché l’indicibile divenga udibile; questo vuol dire che la musica sacra, espressione della Parola e del silenzio percepito in essa, ha bisogno di un sempre nuovo ascolto di tutta la pienezza del Logos.
La liturgia è parusia anticipata, è l’irrompere del «già» nel nostro «non ancora» e la liturgia terrena è realmente tale solo per il fatto che si inserisce in ciò che è più grande, nella liturgia celeste già da sempre in atto.
San Benedetto, nella Regola, al Cap. XIX, intitolato: “L’atteggiamento da tenere durante la recita dei Salmi”, cita il Salmo 46,8 «Cantate inni con arte» e il Salmo 137,1 «A te voglio cantare davanti agli angeli» per indicare ai monaci - ma si può riferire a tutti noi -, di riflettere, quando si canta, «su come dobbiamo comportarci al cospetto della divinità e dei suoi angeli, e quando partecipiamo all’ufficio divino il nostro animo sia in armonia con la nostra voce», «et sic stemus ad psallendum ut mens nostra concordet voci nostrae».
Cosa vuol dire questo se non quanto si è detto già anche per le grandi espressioni musicali?
Nella Liturgia quindi (ma si è visto anche nel rapporto con l’Infinito che determina una grande espressione artistica) non è l’uomo ad inventare qualcosa e poi a cantarlo, ma il canto “proviene dagli angeli”, cioè - ed è questo che afferma san Benedetto - l’uomo deve innalzare il suo cuore affinché concordi (abbia lo stesso cuore) con la tonalità che gli giunge dall’alto, stando davanti a Dio, in adorazione.
Solo un “cuore concorde”, solo la persona che adora il Signore può esprimere una musica adeguata alla liturgia.
È l’Atteggiamento delle vergini della parabola evangelica: è sufficiente, per l'ultimo giorno, il desiderio di "entrare alle nozze", non basta riconoscere "la voce dello sposo".
È necessario coltivare il buon “olio della fede”, perché non abbia a mancare nel momento giusto, quando riecheggerà, per ciascuno, diventando visione, la parola del Profeta Osea: «Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell’amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore».
È la grande lezione che ci imparte la dolcissima Vergine e Martire Cecilia la cui vita è armonia, è musica, è canto, inserita nel commovente, incantevole concertato della ecclesiale communio sanctorum!

Fonti: www.zenit.org e messainlatino.it.

sabato 26 novembre 2011

Tempo di Avvento

Con questa Domenica comincia un nuovo anno liturgico. L'anno che segue la liturgia, infatti, non corrisponde a quello civile, che comincia in gennaio per terminare in dicembre: esso si diparte dall'Avvento, il tempo liturgico che porta verso il Natale, in cui si celebra la prima venuta di Cristo sulla terra, ma anche il tempo dedicato in maniera particolare all'attesa della Sua venuta nella gloria, quando giudicherà i vivi e i morti e riconsegnerà tutta la creazione nelle mani del Padre Celeste. La liturgia, con i suoi segni visibili esteriori, ci aiuta a comprendere meglio la natura di questo tempo; non è un inizio anno chiassoso come i capidanno cui oramai siamo abituati, ma siamo altresì invitati agli atteggiamenti dell'attesa e della veglia, che ci proiettano verso i misteri ultimi, i novissimi, che costituiscono il destino di ogni uomo. Il colore liturgico delle vesti sacre e degli arredi è il viola, fusione del blu, che indica la temperanza e la prudenza da applicare nella vita, specie in questo tempo, e del rosso, che ci ricorda il Sangue della Passione di Cristo, venuto nel mondo per riscattare con la Sua stessa vita le nostre anime dalla schiavitù del peccato. Nelle domeniche e nelle ferie di Avvento non si recita il Gloria, inno natalizio per eccellenza (comincia, infatti, con le parole che gli angeli rivolsero ai pastori nella Notte Santa), cosa che in un certo senso aumenta l'attesa verso il culmine, che è la solennità del Natale del Signore. Infine anche la musica è più discreta, gli strumenti più parchi, per non anticipare la gioia del Natale, al quale siamo invitati a prepararci con la preghiera e la contrizione.
A questo proposito vorrei indicare ai lettori un brano particolarmente significativo della liturgia del tempo di Avvento, ossia l'inno che ci accompagnerà in tutte le domeniche e ferie di Avvento alla celebrazione dei Vespri: Conditor Alme Siderum. Ne propongo l'ascolto nella versione gregoriana e in una rielaborazione in chiave polifonica del princeps musicae Giovanni Pierluigi da Palestrina; in fondo potete trovare il testo con la traduzione. Con questo omaggio musicale intendo augurare a tutti i lettori un buon inizio dell'anno liturgico e, soprattutto, un buon tempo di Avvento.





Cónditor alme síderum,
ætérna lux credéntium,
Christe, redémptor ómnium,
exáudi preces súpplicum.

Qui cóndolens intéritu
mortis períre sæculum,
salvásti mundum lánguidum,
donans reis remédium,

Vergénte mundi véspere,
uti sponsus de thálamo,
egréssus honestíssima
Vírginis matris cláusula.

Cuius forti poténtiæ
genu curvántur ómnia;
cæléstia, terréstria
nutu faténtur súbdita.

Te, Sancte, fide quæsumus,
ventúre iudex sæculi,
consérva nos in témpore
hostis a telo pérfidi.

Sit, Christe, rex piíssime,
tibi Patríque glória
cum Spíritu Paráclito,
in sempitérna sæcula. Amen.
Vivificante creatore delle stelle,
eterna luce dei credenti,
Cristo, redentore di tutti,
esaudisci le preghiere di chi ti supplica.

Tu compatendo il mondo
che andava in rovina nella morte,
salvasti l'umanità ammalata,
donando una cura ai peccatori,

Mentre scendeva la sera del mondo,
come uno sposo dal talamo nuziale,
sei uscito dall'intemerato
ventre della Vergine madre.

Alla tua forte potenza
tutte le creature piegano il ginocchio;
quelle del cielo, quelle della terra
si mostrano sottomesse alla tua volontà.

Te, o Santo, con fede preghiamo,
te, che verrai come giudice del mondo:
conservaci nel tempo
dalla lancia del perfido nemico.

O Cristo, re piissimo,
a te e al Padre sia gloria
con lo Spirito Paraclito
per i secoli eterni. Amen.

Traduzione dal sito www.cantualeantonianum.com

venerdì 25 novembre 2011

Giornata della Colletta Alimentare

Domani, ultimo sabato del mese di novembre, l'associazione Banco Alimentare Onlus organizza come di consueto la giornata della Colletta Alimentare, giunta alla sua quindicesima edizione. Alcuni volontari fuori dei supermercati accoglieranno i clienti consegnando loro una locandina ed una borsa per la spesa, nella quale chi può e chi vuole potrà porre alcuni prodotti dalla propria spesa da destinare ai più poveri e ai più bisognosi del nostro Paese. La borsa sarà poi riconsegnata all'uscita del supermercato, dove gli addetti (riconoscibili dalla pettorina con il logo dell'iniziativa) raccoglieranno i generi alimentari offerti. Nell'attuale situazione economica che rende critico il bilancio di molte delle nostre famiglie, questo piccolo gesto di solidarietà concreta ci aiuta ad essere vicini a coloro che si trovano in una situazione ancora peggiore (come coloro che hanno perso il lavoro, o non hanno più soldi per pagare la casa), e per i quali anche assicurare a se stessi e alla propria famiglia un pasto quotidiano diventa difficile. La Giornata della Colletta Alimentare ci aiuti, dunque, ad aprire gli occhi sulla povertà che ci circonda (e che purtroppo sta diventando sempre più evidente), ed anche ad apprezzare ancora di più i beni, specialmente i più semplici, che possiamo permetterci, riducendo gli sprechi di cibo e di acqua.
Non tutti i prodotti sono indicati per la colletta alimentare: è necessario che siano prodotti a lunga scadenza e non facilmente deteriorabili, come pasta, olio e scatolame. Una lista dei prodotti adatti, reperibile nel sito dell'associazione Banco Alimentare Onlus, www.bancoalimentare.it, è disponibile cliccando nel link qui sotto:
http://www.bancoalimentare.it/colletta-alimentare-2011/listaspesa.pdf.

Di seguito riporto l'articolo apparso ieri sul quotidiano online La Bussola Quotidiana, a firma di Giovanni Fighera, con una testimonianza del presidente dell'associazione, don Mauro Inzoli.

Colletta alimentare, la carità di un popolo
Di Giovanni Fighera

«La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano» ha detto Benedetto XVI, domenica 13 novembre prima dell’Angelus, al termine del quale il Papa ha anche salutato i volontari della Giornata nazionale della Colletta alimentare che si terrà il 26 novembre.

L’Associazione Onlus Banco Alimentare da anni raccoglie le eccedenze alimentari e le ridistribuisce ad enti ed iniziative che, in Italia, si occupano di assistenza e di aiuto ai poveri e agli emarginati. La raccolta cerca di rispondere concretamente alla emergenza povertà in Italia, assistendo oltre un milione di persone. Ma questo non basta: il bisogno è ben più grande. Per questo, da ormai quindici anni, l’ultimo sabato di novembre si tiene la Giornata Nazionale della Colletta alimentare in migliaia di supermercati. Più di centoventimila volontari all’opera, novemila e quattrocento tonnellate di cibo raccolte in un solo giorno, cinque milioni di italiani che hanno acquistato il cibo per i più poveri sono i numeri dell’anno scorso in Italia che hanno fatto della Colletta il gesto di un intero popolo, il più grande gesto di carità nel nostro Paese.

Don Mauro Inzoli, presidente dell’Associazione Banco Alimentare, scrive: «La carità non è appannaggio di qualcuno. […] Noi crediamo che la proposta di fare la spesa a favore dei poveri abbia in sé un contenuto educativo che possa incidere profondamente sulla cultura». Noi tutti siamo chiamati a sperimentare che la carità è della stessa natura dell’uomo. Nessuno, però, fa esperienza soltanto quando prova o sperimenta qualcosa. Una persona può aver avuto tante donne, ma può non aver mai fatto esperienza dell’amore. Miguel Mañara, la figura storica nascosta sotto il leggendario Don Giovanni, ha conquistato tante donne, ma non conosce davvero la natura dell’amore fin quando non incontra Girolama, che lo abbraccia nonostante il suo limite, che lo ama per quello che è, che gli mostra una letizia che le altre donne non possedevano. Miguel Mañara incontra una umanità diversa, più corrispondente alla sua attesa, al suo umano desiderio di essere amato. Non c’è umana esperienza senza questa verifica di corrispondenza al cuore. Nell’esperienza dell’amore la persona coglie la propria dimensione strutturale di essere dipendenza da un altro e percepisce un compimento, una soddisfazione, una letizia maggiori rispetto ad una posizione narcisistica di auto soddisfazione.

L’apertura all’altro è una dimensione naturale per l’essere umano che spesso, crescendo, finisce per dimenticarselo fino a quando non fa nuovamente esperienza di essere amato. Quando accade questo? Solo quando qualcuno gli fa percepire che tiene proprio a lui, che gli vuole bene così come è, incondizionatamente, senza preclusioni. Un fatto, tra i tanti sorprendenti che mi sono capitati in questi anni durante la colletta alimentare, testimonia in maniera emblematica che questa giornata è, in primo luogo, un’occasione di incontro e di condivisione del significato del gesto. Qualche anno fa, io e un mio collega di scuola abbiamo invitato gli studenti a partecipare alla Colletta, dopo averli accompagnati a visitare la sede del Banco in Lombardia. «Condividere un bisogno per condividere il senso della vita» è il motto. Il giorno della Colletta, nel pomeriggio, entra nel supermercato una signora anziana. Avrà forse ottant’anni. Mentre procede con passo lento e stanco, alcuni miei studenti la fermano per invitarla a fare la spesa, ma lei non vuole sentire ragioni. In maniera un po’ incauta e repentina la incalzo: «Signora, le devo dire una cosa importante!». Allora, arrabbiata e con sguardo di rimprovero, la signora inizia a farmi una predica sui giovani di oggi e sulla loro presunzione, mi racconta la sua storia, del trasferimento nei campi di concentramento in gioventù, della fortuna di essere un’esperta in un settore che poteva servire ai nazisti, della povertà sperimentata nel Secondo dopoguerra.

Mentre racconta, la ascolto attentamente e le faccio delle domande. Nel contempo, ogni tanto, quando passano dei clienti del supermercato, le chiedo scusa e interrompo momentaneamente l’ascolto per invitare al gesto della colletta. Col passare dei minuti il suo sguardo si intenerisce e si fa meno duro. Dopo un po’, mi chiede di poter far la conoscenza anche degli altri volontari e inizia a fermare i clienti del supermercato. A coloro che non si fermano non risparmia le critiche: «Vergognatevi!». Dopo due ore, la signora fa la spesa per la colletta. E poi, visto che ha la febbre, la invitiamo ad andare a casa a riposarsi. Questa volta, che fatica a convincerla ad andare via! Che sorpresa è rendersi conto che un gesto così dignitoso, un gesto di carità è per noi, perché possiamo essere più lieti! Che sorpresa è assistere ad un giorno ordinario che diventa straordinario per la presenza di Cristo, che è amore che unisce, che fa condividere, che riempie di senso e della sua presenza il vuoto della giornata! Si può sempre scommettere sulla nostra umanità e sulla quella altrui, perché, come dice un personaggio del romanzo Diario di un curato di campagna di Bernanos, «ogni uomo conserva sempre la possibilità di amare. L’Inferno è non amare più».

Per questo l’invito rivolto a tutti è di partecipare alla Colletta, sia come volontari che facendo la spesa, e di riflettere sulle cosiddette «dieci righe» che introducono al valore educativo del gesto: «Il momento storico che stiamo vivendo rimane molto delicato e drammatico. I poveri sono in costante crescita e sono sempre più prossimi a ciascuno di noi. Non manca solo il cibo, manca il lavoro, la casa e soprattutto sembrano venir meno le ragioni per sperare e per questo si è sempre più soli; una solitudine spesso avvertita da chiunque, poveri o ricchi. Cristo, presente ora, colma quella solitudine, risponde a tutte le esigenze del nostro cuore. Per questa esperienza, proponiamo ad ognuno la Colletta alimentare, perché facendo la spesa per chi è nel bisogno si ridesti tutta la nostra persona, cominciando a vivere all’altezza dei desideri del nostro cuore».


Fonte: labussolaquotidiana.it.

giovedì 24 novembre 2011

Il dialogo religioso e le richieste di perdono

Voglio proporre all'attenzione dei lettori un articolo di Gianfranco Trabuio, pubblicista, già professore universitario a Padova e Venezia, che affronta il tema del dialogo religioso tra la Chiesa Cattolica e l'Islam e un tema particolarmente sentito al giorno d'oggi: le richieste di scuse della Chiesa Cattolica. Infatti, nella nostra società sempre più marcatamente anti-cattolica, accanto ai consueti e demagogici inviti al Papa da parte di molti sedicenti cattolici e atei (che magari sono appena tornati da una bella crociera, indossano vestiti firmati od ostentano con fierezza gioielli e preziosi) a disfarsi dei suoi "numerosi anelli" per sfamare l'intera Africa, un altro ritornello che si sente spesso è quello delle scuse che il papa (ed in particolare l'attuale pontefice) dovrebbe continuamente rivolgere al mondo intero e all'Islam in particolare per le Crociate. Come se le Crociate fossero state la guerra di invasione dei cristiani dell'epoca contro indifesi e pacifici uomini di religione musulmana, durante la quale i primi si avventavano e massacravano senza pietà i secondi. Non si può nemmeno dire che tutto, nella storia cristiana, sia stato regolare, come lo stesso papa Benedetto XVI ha avuto modo di sottolineare durante l'ultimo incontro interreligioso di Assisi: «Sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna». Tuttavia, osserva Trabuio, perché soltanto il papa e la Chiesa Cattolica devono chiedere scusa? Ed elenca una serie di massacri per i quali oggi nessuno, stranamente, invoca le scuse, nemmeno durante le numerose marce della pace di Assisi organizzate da varie comunità, tra le quali sant'Egidio, che dà l'impressione di impegnarsi molto nel dialogo interreligioso. Eppure questi drammi, elencati da Trabuio, hanno per protagonisti proprio dei frati francescani, che in quelle marce della pace sembrano essere stati completamente dimenticati. Non è necessario né vitale per il cristiano esigere le scuse da parte dei suoi torturatori; finisce per esserlo, invece, per chi si fa paladino della pace e della verità, e che invece si ostina a voler vedere il marcio sempre e soltanto da parte della Chiesa, oltraggiando, in questo modo, anche la memoria dei martiri che gloriosamente hanno preferito la morte al rinnegare Gesù Cristo in favore di Maometto.

Perché solo il Papa deve chiedere perdono?
Francesco, i martiri francescani e l'Islam

Di Francesco Trabuio

Non si può analizzare la attuale situazione sul dialogo religioso tra Chiesa Cattolica e Islam se non si parte dalla storia. Tutti i tentativi di impostare il dialogo tra questi due mondi come se non ci fosse il passato, è come pulire il pavimento nascondendo la polvere sotto il tappeto: è inutile e dannoso per tutti e due, e per le sorti del mondo.

Purtroppo quando le fedi religiose si identificano con la politica degli Stati e con la gestione del potere economico, non è facile intraprendere un percorso virtuoso che possa portare al rispetto reciproco e alla convivenza pacifica.

Il recente incontro mondiale di Assisi tra i capi religiosi, voluto da Benedetto XVI, ha fatto segnare ancora una volta il coraggio della Chiesa Cattolica nel convocare le religioni a parlare della pace nel mondo. Cosa dovrebbero fare gli uomini di fede votati alla santità se non costruire la pace? Il Papa cattolico ancora una volta ha chiesto perdono per le violenze del passato perpetrate dagli uomini della Chiesa cattolica. Giustamente. Chiedere perdono, da un punto di vista pedagogico e psicologico, è sempre un’operazione vincente. Riconoscere i propri peccati fa parte della pedagogia della dottrina della Chiesa e del Vangelo.

Il Papa Benedetto XVI, però, doveva fare anche un’altra operazione culturale: invitare gli altri capi religiosi a chiedere perdono alla Chiesa cattolica per tutte le violenze attuate dai loro fedeli contro i fedeli della Chiesa cattolica e di tutte le altre confessioni religiose. SOLO E SOLTANTO quando tutti avranno il coraggio di domandare perdono reciprocamente si potrà avviare la conversione dei cuori, e da questa passare al rispetto e alla convivenza, diversamente questi incontri rimangono eventi giornalisticamente importanti ma poco utili per l’obiettivo finale, che è quello della pace nel mondo e della giustizia economica tra le nazioni.

Oggi è quanto mai urgente arrivare a questa consapevolezza. Purtroppo in un recente incontro romano tra i volontari che operano in Terra Santa e per la Terra Santa, si è avuta la percezione che fare presente ai musulmani e agli ebrei la necessità di percorrere la strada del perdono reciproco sia politicamente scorretto. È politicamente corretto e accettato solo se è la Chiesa cattolica a chiedere perdono, gli altri possono tranquillamente continuare a esercitare la violenza che più gli conviene contro i seguaci di Gesù Nazareno. Lo vediamo a Betlemme e nei territori palestinesi, lo vediamo in India, lo vediamo in Egitto, lo vediamo in Indonesia, lo vediamo in Iraq e in Libano. Di quanti martiri ha ancora bisogno la Chiesa cattolica per poter affermare nei riguardi di questi violenti che nessuna violenza ha mai portato alla pace?

I violenti non sono dei pazzi isolati, hanno sempre dietro di loro un potere religioso e politico che li spinge verso la violenza e che li protegge. Ecco perché è quanto mai attuale ritornare a parlare della figura di Francesco di Assisi e della sua Regola. Come è stato scritto in precedenza in una mia relazione al XXI Congresso degli Amici di Terra Santa del Triveneto, Francesco non è mai stato un pacifista, come lo dipingono i miti politicamente corretti delle marce della pace che ad Assisi ogni anno raccolgono migliaia di persone: ecologisti, cattolici di varie sfumature, sindacalisti, politici dichiaratamente appartenenti alla nebulosa della sinistra marxista, e persone di orientamento politico che propongono la negazione dei famosi valori non negoziabili tanto cari alla dottrina di Benedetto XVI, come il diritto alla vita e il diritto alla famiglia come voluta da Dio Creatore. Francesco è stato un uomo di pace ed è andato al seguito della quinta Crociata nel 1219 per convertire il Sultano Malek el Kamil, e per convincere i crociati a fermarsi di fronte all’inutile guerra. Francesco era andato dal Sultano consapevole che rischiava la vita, ma il suo obiettivo era più grande della sua stessa vita: portare la parola di Gesù, quella del Vangelo. Gesù ha insegnato il perdono e la misericordia e non la violenza contro gli uomini di altre religioni. Che Dio sarà mai quello che invita a uccidere i credenti di altre fedi? Quale paradiso può aspettarsi un omicida?

Ecco, a queste domande ancor oggi dobbiamo tentare di dare una risposta, e non c’è esperienza storica che ci possa aiutare meglio delle storie dei martiri francescani, assassinati dai seguaci del profeta Muhammad, a partire dai famosi cinque protomartiri del Marocco.

È necessario evidenziare con insistenza che Francesco era arso dal desiderio del martirio, lui voleva morire martire per Cristo, e questa sua aspirazione era maturata ancora nel 1211 quando era partito, per predicare il Vangelo nella Siria dei monaci stiliti, e dove i musulmani avevano come sommo impegno quello di uccidere chi avesse tentato di convertire al Vangelo qualche credente in Allah. Però la nave si incagliò sulle coste della Croazia.

Un’altra volta, ancora, il nostro Francesco aveva tentato di raggiungere la Terra di Gesù, inutilmente.

Nonostante i due insuccessi patiti, organizzato l’Ordine in province (1217), egli provvide a mandare missionari in tutte le principali nazioni d’Europa. Nel famoso Capitolo generale delle stuoie, celebrato alla Porziuncola, nella Pentecoste del 1219, diede licenza ai frati Ottone sacerdote, Berardo suddiacono, e ai conversi Vitale, Pietro, Accursio, Adiuto, di andare a predicare il Vangelo ai saraceni del Marocco, mentre egli si sarebbe recato con i crociati in Palestina per visitare i Luoghi santi e convertire gl’infedeli, pur ignorandone la lingua. È molto bello ricordare che per Francesco la Provincia di Oltremare, la Terra di Gesù e dei suoi apostoli, era considerata la Perla delle Province.

Dopo aver ricevuto la benedizione del santo fondatore, i sei missionari si diressero a piedi verso la Spagna. Giunti nel regno di Aragona, Vitale, superiore della spedizione, cadde malato, ma ciò non impedì agli altri cinque figli di S. Francesco di proseguire il loro cammino sotto la guida di Berardo. Dopo diverse peripezie e patimenti subiti dai musulmani di Spagna, riuscirono ad arrivare nella capitale del Marocco, dove iniziarono a predicare nelle piazze col crocifisso in mano. Il sultano del Marocco immediatamente li fece imprigionare e dopo violenze di ogni tipo e vista la loro determinazione a non abiurare la loro fede in Cristo Gesù, il sultano stesso tagliò loro la testa, lasciando i poveri corpi al ludibrio dei fanatici musulmani. Era il 16 gennaio 1220.

Don Pietro Fernando, Infante del re del Portogallo, che si trovava a Marrakech, fece costruire due casse d’argento di diversa grandezza. Si servì della più piccola per deporvi le teste, della più grande per deporvi i corpi degli uccisi in odio alla fede cattolica. Quando ritornò in Portogallo, egli portò con sé le preziose reliquie dei cinque protomartiri francescani e le depose nella chiesa di Santa Croce a Coimbra, dove sono ancora venerate. Fu in quella occasione che Ferdinando da Lisbona si sentì talmente acceso dall’amor di Dio che decise di abbandonare l’Ordine dei Canonici Regolari per abbracciare quello dei Frati Minori. Diventerà il grande sant’Antonio da Padova, il taumaturgo e teologo che tanto lustro darà all’Ordine di Francesco di Assisi.

Alla notizia del martirio dei cinque suoi figli, Frate Francesco, che si trovava al seguito della quinta Crociata, disse in un trasporto di riconoscenza verso Dio: “Ora posso dire che ho veramente cinque fratelli minori”. Il Papa Sisto IV li canonizzò nel 1481.

Nessuno finora ha chiesto perdono, neanche ai frati Francescani, per questo massacro, regolarmente compiuto obbedendo ai canoni dell’Islam.


L'articolo non è finito: per leggere l'intero articolo di Gianfranco Trabuio vi rimando al seguente link:
http://www.ioamolitalia.it/2011/11/perche-solo-il-papa-deve-chiedere-perdono/#more-19768.

mercoledì 23 novembre 2011

Sospeso per la Messa del papa

Invita i colleghi a vedere la Messa del Papa in tv, l’azienda sanitaria lo sospende per tre giorni
Dal quotidiano Avvenire

Ha annunciato un presidio e uno sciopero della fame un dipendente dell’Ulss 12 sospeso per tre giorni senza stipendio perché, in occasione della visita del Papa a Venezia nel maggio scorso, si adoperò per consentire a degenti e colleghi di assistere in diretta alla Messa celebrata da Benedetto XVI. «Il direttore generale Antonio Padoan ha ritenuto che l’iniziativa ledesse l’immagine laica dell’Azienda per cui ha agito disciplinarmente nei miei confronti», spiega Bernardino Mason, il dipendente. «In previsione della visita del Papa a Venezia, avvenuta l’8 maggio – racconta – sono stato incaricato dal direttore amministrativo e dal direttore di Scuola di Sanità Veneta, mio diretto superiore, di rendere possibile la visione della Messa ai degenti degli ospedali e a chiunque ne avesse desiderio». «Sono stato punito pur avendo dimostrato che ho agito in collaborazione con altri e su indicazione del direttore amministrativo Maria Alessandra Massei – prosegue Mason – fatalità la punizione mi è stata comunicata il giorno successivo alla fine dell’incarico del direttore amministrativo». Replica l’azienda sanitaria: «La procedura disciplinare – spiega l’azienda – è stata comminata perché con una sua email il dipendente aveva sollecitato il personale ospedaliero a seguire la Messa del Pontefice durante l’orario di servizio».

Fonte: L'Avvenire, 23 novembre 2011, pag. 14

Sospeso per la Messa del Papa in tv
Di Alberto Francesconi dal Gazzettino di Venezia

Punito per avere invitato il personale dell’Ospedale dell’Angelo a seguire la Messa del Papa. È destinata a sollevare polemiche la sospensione di tre giorni dal servizio comminata dalla direzione dell’Ulss 12 a un proprio dipendente, Bernardino Mason, autore di una mail con la quale invitava il personale in servizio a seguire dal maxischermo allestito nella hall dell’ospedale la Messa celebrata al Parco di San Giuliano da Benedetto XVI l’8 maggio scorso. Mason, in servizio alla Scuola di sanità veneta, braccio operativo dell’Ulss 12 nella formazione, ha annunciato un presidio di protesta e uno sciopero della fame nei tre giorni di sospensione, dal 28 al 30 novembre. «Il direttore generale Antonio Padoan ha ritenuto che l’iniziativa ledesse l’immagine laica dell’Azienda per cui ha agito disciplinarmente nei miei confronti», spiega Mason, che adombra il sospetto che di una lotta di potere dietro il provvedimento disciplinare a suo carico. Proprio il dipendente era stato incaricato dal direttore amministrativo dell’Ulss di permettere ai degenti di assistere alla diretta della Messa del Papa. All’Angelo, per avere la tv in camera è necessario pagare; per la rilevanza dell’evento si era così deciso di allestire un maxischermo nella hall. Mason, noto per il suo impegno pluriennale nel mondo dell’associazionismo e della cooperazione, sarebbe però andato oltre: «La procedura disciplinare - spiega l’azienda - è stata comminata perché con una sua email il dipendente aveva sollecitato il personale ospedaliero a seguire la Messa del Pontefice durante l’orario di servizio». Con un uso improprio della posta elettronica aziendale, ma soprattutto con una violazione della "mission" dell’azienda che, si legge nella contestazione, «non è quella di fare propaganda religiosa, bensì di assistere la collettività». Mason però sente puzza di bruciato: «Sono stato punito - sostiene - pur avendo dimostrato che ho agito in collaborazione con altri e su indicazione del direttore amministrativo Maria Alessandra Massei - prosegue Mason - fatalità la punizione mi è stata comunicata il giorno successivo alla fine dell’incarico del direttore amministrativo». Per questo il dipendente, che annuncia che ricorrerà contro la sospensione, ha deciso che trascorrerà i tre giorni alla stazione Sfmr dell’Ospedale a digiuno spiegando al pubblico il proprio caso.

Fonte: Il Gazzettino di Venezia, 23 novembre 2011, pag. XVII

domenica 20 novembre 2011

Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo

L'ultima domenica dell'anno liturgico si chiude con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'universo; contempliamo il nostro Redentore in tutta la sua regalità. Nel rito antico questa solennità cade nell'ultima domenica del mese di ottobre; voglio proporre all'attenzione dei lettori l'omelia tenuta in quell'occasione da padre Konrad Zu Loewenstein FSSP, della chiesa di San Simeon Piccolo a Venezia, cappellano per il patriarcato di Venezia dei fedeli che seguono il rito antico.


Festa di Cristo Re dell'universo
Predica di padre Konrad(*)

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Talvolta qualcuno chiamerà la Chiesa "trionfalista" come se fosse una società mediocre, puramente umana, centrata sul mero uomo, una società che non abbia niente su cui gloriarsi, come se dovesse prendere un posto modesto vicino alle altre religioni e, modestamente, tacere.
La realtà carissimi fedeli, però, è ben diversa: la Chiesa è una società perfetta animata dallo stesso Spirito Santo, santificante, infallibile, tutta pura, l'immacolata Sposa di Cristo. Le altre religioni sono tutte false, i loro seguaci devono convertirsi, devono essere evangelizzati, catechizzati, battezzati e santificati, sottomessi al dominio di Cristo Re, Re di tutti gli uomini, non c'è un'altra via di salvezza perché Cristo è Dio, l'unico Dio, "uno simile a Figlio d'uomo - dice san Giovanni - con occhi fiammeggianti come fuoco, la voce simile al fragore di grandi acque, che nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio, il Suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza e mi disse: - Io sono l'Alfa e l'Omega, il Vivente, Io ero morto ma ora vivo per sempre ed ho potere sopra la morte e sopra gli inferi".

Dunque, il Nostro Signore Gesù Cristo + che è già Re dell'Universo, Pantocrator, sia da Dio sia da Uomo in virtù dell'unione ipostatica fra la Sua divinità e la Sua umanità, è anche Re di tutti gli uomini in virtù della Sua Passione e Morte in Croce.
La Santa Chiesa Cattolica non si vergogna di Lui, dunque, che altrimenti si vergognerà di Lei davanti al Suo Padre e ai Suoi Angeli, bensì esulta soprattutto oggi nella Festa di Cristo Re, quando ricorda il Suo trionfo su Satana, sul peccato e sulla morte, esulta per Lui ed anche per se stessa, perché sa con certezza assoluta che seguendo il suo Re sul campo di battaglia di questo mondo, trionferà anche Lei.
Quaggiù facciamo parte della Chiesa Militante, militante contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti, e ci gloriamo di combattere sotto i vessilli di Cristo Re (nelle parole dell'ultima preghiera di questa Santa Messa), per poter regnare con Lui dopo come Chiesa Trionfante in Cielo, per sempre.
La parola "trionfalista" come la parola "tradizionalista" sono parole moderne invitate da persone moderne per presentare come falso e male ciò che è vero e bene.
La Chiesa ha sempre visto la nostra vita terrena come una lotta dura contro i nemici della nostra salvezza, cioè, il mondo, la carne, il diavolo.
Il mondo, tutto ciò che ci circonda che sia male, le cattive compagnie, le pubblicità (persino su questa chiesa), i fiori del male sparsi attraverso i tratti interminabili del computer, la carne, tutti i desideri, gli istinti, le emozioni che lottano contro la ragione, e il diavolo, lui che aumenta i nostri disagi in tutto, obnubilando la nostra fede e la nostra fiducia in Dio insinuando pensieri cattivi, negativi, meschini nella mente, ingannandoci e seducendoci.

Contro questi nemici noi lottiamo in collaborazione con Nostro Signore Gesù Cristo + una collaborazione che culminerà nella Sua gloriosa vittoria sul mondo.
Questa è la visione della Chiesa, la visione tradizionale che, come tutto ciò che è tradizionale nella Chiesa è da accettare da noi come pienamente cattolica.
Gloriamoci, dunque, di combattere sotto i vessilli di questo Re vestito di una Corona e di una Porpora più gloriose di quelle di tutti i re che abbiano mai vissuto su questa terra, essendo gli strumenti dell'opera del Suo Divin Amore; gloriamoci nel Nostro Re, per cui saremo onorati di versare la nostra vita, come Lui ha versato la Sua per noi fino all'ultima goccia del Suo preziosissimo Sangue; gloriamoci di seguirLo in questa vita non con l'arroganza e la superbia, però, bensì nella profondissima umiltà portando la nostra croce dietro a Lui, consapevoli solo della Sua infinita maestà e della nostra iniquità e della nostra nullità, la nostra iniquità che l'ha messo in Croce, e seguendoLo così nell'umiltà, rinnegandoci, e portando la nostra croce vinceremo nella battaglia contro i nostri nemici, e trionferemo e regneremo con Lui per sempre nella gloria della Patria Celeste.
Amen

In nomine Patri, et Filii, et Spiritus Sancti.
Sia lodato Gesù Cristo +

(*)Predica tratta dall'audio e non rivista ed eventualmente corretta da Padre Konrad

Fonte: sansimonpiccolo.blogspot.com.

sabato 19 novembre 2011

Festa della Madonna della Salute

Il 21 novembre, giorno in cui si celebra la ricorrenza liturgica della Presentazione della Beata Vergine Maria, il patriarcato di Venezia, ma anche molte altre diocesi venete, celebrano la festa della Madonna della Salute. L'origine di tale celebrazione risale al XVII secolo, quando una grave epidemia di peste aveva sparso i suoi semi di morte in tutto il nord Italia, decimando le popolazioni di decine e decine di città; persino il doge ed il patriarca dell'epoca furono uccisi dal violento morbo. Fu così che i governanti e la popolazione intera organizzarono un grande pellegrinaggio, il 22 ottobre 1630, per supplicare la Beata Vergine di liberare la città dalla peste, facendo voto solenne di erigere un tempio alla Madonna della Salute se la città fosse sopravvissuta. Qualche settimana dopo la processione fu registrata una notevole diminuzione dei contagi, e la malattia poteva dirsi completamente debellata nel novembre dell'anno 1631; la peste aveva ucciso quasi 50000 persone nel solo territorio cittadino di Venezia, e oltre 100000 nel territorio del dogado (di cui, lo ricordiamo, faceva parte anche la nostra città di Caorle). Mantenendo fede al voto dell'anno precedente, fu subito indetto il concorso per la costruzione del tempio mariano, e in seguito a ciò sorse lo splendido tempio di Baldassarre Longhena che ancora oggi possiamo ammirare presso la punta della Dogana a Venezia, consacrato il 21 novembre 1687.
Da allora ogni anno il popolo di Venezia e dintorni si reca alla Basilica della Salute il giorno della festa. Anche noi oggi siamo chiamati a prendere parte ai festeggiamenti in onore della Vergine; il patriarcato, in particolare, organizza un pellegrinaggio, a cui sono invitati i giovani, che da Piazza San Marco giunge fino al tempio mariano. Che senso ha per noi, uomini, donne e ragazzi di oggi, celebrare ancora la festa della Madonna della Salute? Possiamo ancora trarre molto giovamento dalla storia che ha dato i natali a questa ricorrenza?
Il popolo, allo stremo per la terribile malattia, si sente sopraffatto e chiede aiuto alla Madonna. Un comportamento, questo, che, secondo l'opinione della nostra società odierna, certo non si addice ai nostri giorni; il progresso scientifico ha reso curabili malattie che soltanto qualche decina di anni fa erano inguaribili, il che è certamente un fatto positivo, anzi: c'è da augurarsi che la scienza medica proceda in questa direzione, nel rispetto della vita di ogni individuo. Ma d'altro canto questo progresso rischia di farci prendere l'abbaglio che l'uomo possa sconfiggere ogni malattia, prevenire ogni disastro ambientale e salvare qualsiasi vita umana in pericolo con le sue sole forze. Che questo sia un abbaglio è sotto gli occhi di tutti: malgrado, infatti, l'avanzamento della scienza e della tecnica, oggi si muore ancora di malattia (delle più gravi, ma spesso anche delle più banali); non è possibile prevedere i terremoti e le distruzioni che essi comportano; e, anche se è possibile prevedere le condizioni meteorologiche, non è possibile prevedere gli effetti del maltempo sulle nostre città (come abbiamo purtroppo visto ultimamente in Italia). Quindi, anche quando l'uomo, tramite la scienza e la tecnica, riesce a prevedere un evento eccezionale o a scoprire prima l'insorgere di una malattia, non avrà mai la certezza che questo basti per evitare il dolore e la morte, nemmeno ipotizzando un futuro ulteriore progresso dei nostri mezzi. Se confidiamo soltanto nell'uomo e nel progresso delle sue ricerche, questa constatazione ci getta in una profonda disperazione. E molti di noi, non potendo accettare che l'uomo, malgrado tutti i suoi tentativi, possa aver fallito, guardano alla fine a Dio, ma quasi con l'atteggiamento di chi pretende una ricompensa per gli sforzi compiuti; e, dopo aver sempre fatto affidamento sulle sole forze umane, escludendo Dio dalla propria vita, spesso si finisce, invece, per addossargli la colpa del disastro.
Torniamo allora al pellegrinaggio dei veneziani di quattrocento anni fa; non possiamo non credere che anch'essi abbiano tentato il possibile per evitare il contagio dei sani e per curare i contagiati, nei limiti della loro conoscenza medica. Ma alla fine, vista la loro sconfitta, si sono rivolti alla Madonna per chiedere la sua intercessione ed il suo aiuto. Lo hanno fatto senza pretendere, come se tutti gli sforzi degli uomini andati a vuoto esigessero l'aiuto dall'alto, ma sperando in un aiuto; hanno anche formulato un voto, segno che non davano per scontato che la loro richiesta venisse esaudita. Con l'umiltà di ammettere che l'uomo da solo non può tutto e che ha bisogno dell'aiuto di Dio, la Madonna ha ascoltato la loro preghiera, risparmiando la città dalla cancellazione.
I nostri antenati, quindi, ci insegnano l'umiltà della vita e della preghiera. Rifarsi al loro modello non significa rinunciare al progresso scientifico e al bene che esso ci apporta; ma significa accettare questi benefici come doni di Dio, che si manifestano per mano del lavoro dell'uomo. L'invito che ci dà la festa della Madonna della Salute può essere ben riassunto dalla massima di Sant'Ignazio di Loyola: «Fa come se tutto dipendesse da te, aspettati come se tutto dipendesse da Dio».
Anche noi, dunque, preghiamo la Madonna perché interceda per noi, conceda la salute del corpo e dello spirito a noi e ai nostri cari, conforti gli ammalati, consoli coloro che hanno perduto i propri cari, con la dolcezza di una Madre che per prima ha visto morire tra atroci dolori il proprio figlio; e alla fine della nostra esistenza terrena, preghi per noi il Signore perché perdoni le nostre colpe e le nostre mancanze, e ci conceda di lodarlo ed adorarlo nella gioia piena del Paradiso.

Alcuni avvisi sulle celebrazioni religiose: innanzitutto ricordiamo che, per concessione del Santo Padre Benedetto XVI, la Penitenzieria apostolica ha accordato l'Indulgenza plenaria per i fedeli che visiteranno il Santuario della Madonna dell'Angelo nel giorno di lunedì 21 novembre, da applicare anche alle anime del Purgatorio, alle consuete condizioni stabilite dalla Chiesa(1). Domenica 20 novembre, invece, si terrà il pellegrinaggio dei giovani del patriarcato, con inizio alle ore 20:00 da piazza San Marco, e presieduto dal vescovo di Concordia-Pordenone mons. Giuseppe Pellegrini. Il ritrovo, per i giovani della nostra parrocchia, è alle ore 15:00 dietro l'autostazione.

(1): vedi il Decreto.

mercoledì 16 novembre 2011

Il papa sulla ricerca sulle staminali

Uno dei cosiddetti "Valori non negoziabili" che la Chiesa, specie ultimamente, indica a tutti i cattolici è la difesa della vita dal concepimento fino alla morte naturale. Per questo, nella ricerca scientifica, la Chiesa dà sempre la priorità alla vita di tutti gli individui, sia che essi siano ben sviluppato sia che si trovino ancora allo stato embrionale; qualora, nel tentativo di migliorare le condizioni di vita degli uni, una sperimentazione finisca per violare i diritti, o addirittura sopprimere, gli altri è chiaro che non può che essere disapprovata. Cionondimeno non vi è quella chiusura categorica alla scienza che il mondo laicista vorrebbe far credere; è il caso della ricerca sulle cellule staminali adulte, oggetto di una Conferenza internazionale realizzata nei giorni scorsi in Vaticano. Nel discorso tenuto dal Santo Padre Benedetto XVI lo scorso 12 novembre possiamo trovare alcune delucidazioni sulla dottrina della Chiesa riguardo a questa tematica importante dal punto di vista etico, scientifico e sociale.

Eminenza,
Cari Fratelli Vescovi,
Eccellenze, distinti ospiti, cari amici,


desidero ringraziare il Cardinale Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, per le sue cordiali parole e per aver promosso questa Conferenza Internazionale su Cellule staminali adulte: la scienza e il futuro dell’uomo e della cultura. Desidero ringraziare anche l’Arcivescovo Zygmunt Zimowski, Presidente del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari (per la Pastorale della Salute), e il Vescovo Ignacio Carrasco de Paula, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, per il loro contributo a questo sforzo particolare. Una speciale parola di gratitudine va ai numerosi benefattori il cui sostegno ha reso possibile questo evento. A tale proposito, desidero esprimere l’apprezzamento della Santa Sede per tutta l’opera svolta da varie istituzioni per promuovere iniziative culturali e formative volte a sostenere una ricerca di massimo livello sulle cellule staminali adulte e a studiare le implicazioni culturali, etiche e antropologiche del loro uso.

La ricerca scientifica offre una opportunità unica per esplorare la meraviglia dell’universo, la complessità della natura e la bellezza peculiare dell’universo, inclusa la vita umana. Tuttavia, poiché gli esseri umani sono dotati di anima immortale e sono creati a immagine e somiglianza di Dio, ci sono dimensioni dell’esistenza umana che stanno al di là di ciò che le scienze naturali sono in grado di determinare. Se questi limiti vengono superati, si corre il grave rischio che la dignità unica e l’inviolabilità della vita umana possano essere subordinate a considerazioni meramente utilitaristiche. Tuttavia, se, invece, questi limiti vengono doverosamente rispettati, la scienza può rendere un contributo veramente notevole alla promozione e alla tutela della dignità dell’uomo: infatti in questo sta la sua utilità autentica. L’uomo, l’agente della ricerca scientifica, a volte, nella sua natura biologica, sarà l’oggetto di quella ricerca. Ciononostante, la sua dignità trascendente gli dà il diritto di restare sempre il beneficiario ultimo della ricerca scientifica e di non essere mai ridotto a suo strumento.

In questo senso, i benefici potenziali della ricerca sulle cellule staminali adulte sono considerevoli, poiché essa dà la possibilità di guarire malattie degenerative croniche riparando il tessuto danneggiato e ripristinando la sua capacità di rigenerarsi. Il miglioramento che queste terapie promettono costituirebbe un significativo passo avanti nella scienza medica, portando rinnovata speranza ai malati e alle loro famiglie. Per questo motivo, naturalmente la Chiesa offre il suo incoraggiamento a quanti sono impegnati nel condurre e sostenere ricerche di questo tipo, sempre che vengano condotte con il dovuto riguardo per il bene integrale della persona umana e il bene comune della società.

Questa condizione è della massima importanza. La mentalità pragmatica che tanto spesso influenza il processo decisionale nel mondo di oggi è fin troppo pronta ad approvare qualsiasi strumento disponibile a ottenere l’obiettivo desiderato, nonostante siano ampie le prove delle conseguenze disastrose di questo modo di pensare. Quando l’obiettivo prefissato è tanto desiderabile quanto la scoperta di una cura per malattie degenerative, è una tentazione per gli scienziati e per i responsabili delle politiche ignorare tutte le obiezioni etiche e proseguire con qualunque ricerca sembri offrire la prospettiva di un successo. Quanti difendono la ricerca sulle cellule staminali embrionali nella speranza di raggiungere tale risultato compiono il grave errore di negare il diritto inalienabile alla vita di tutti gli esseri umani dal momento del concepimento fino alla morte naturale. La distruzione perfino di una sola vita umana non si può mai giustificare nei termini del beneficio che ne potrebbe presumibilmente conseguire per un’altra. Tuttavia, in generale, non sorgono problemi etici quando le cellule staminali vengono prese dai tessuti di un organismo adulto, dal sangue del cordone ombelicale al momento della nascita o da feti che sono morti per cause naturali (cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, istruzione Dignitas personae, n. 32).

Ne consegue che il dialogo fra scienza ed etica è della massima importanza per garantire che i progressi medici non vengano mai compiuti a un prezzo umano inaccettabile. La Chiesa contribuisce a questo dialogo aiutando a formare le coscienze secondo la retta ragione e alla luce della verità rivelata. Così facendo, cerca, non di impedire il progresso scientifico, ma, al contrario, di guidarlo in una direzione che sia veramente feconda e benefica per l’umanità. Infatti, la Chiesa è convinta che tutto ciò che è umano, inclusa la ricerca scientifica, «non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato» (ibidem, n. 7). In questo modo, la scienza può essere aiutata a servire il bene comune di tutta l’umanità, con particolare riguardo per i più deboli e i più vulnerabili.

Nel richiamare l’attenzione sui bisogni degli indifesi, la Chiesa non pensa soltanto ai nascituri, ma anche a quanti non hanno accesso facile a trattamenti medici costosi. La malattia non è selettiva con le persone e la giustizia richiede che venga fatto ogni sforzo per porre i frutti della ricerca scientifica a disposizione di tutti coloro che sono nella condizione di averne bisogno, indipendentemente dalle loro possibilità economiche. Oltre a considerazioni meramente etiche, bisogna affrontare questioni di natura sociale, economica e politica per garantire che i progressi della scienza medica vadano di pari passo con una offerta giusta ed equa dei servizi sanitari. Qui, la Chiesa è in grado di offrire assistenza concreta attraverso il suo vasto apostolato sanitario, attivo in così tanti Paesi nel mondo e volto a una sollecitudine particolare per i bisogni dei poveri del mondo.

Cari amici, concludendo le mie osservazioni, desidero assicurarvi del mio ricordo speciale nella preghiera e affido alla intercessione di Maria, Salus infirmorum, tutti voi che lavorate tanto duramente per portare guarigione e speranza a quanti soffrono. Prego affinché il vostro impegno nella ricerca sulle cellule staminali adulte porti grandi benedizioni per il futuro dell’uomo e arricchimento autentico alla sua cultura. A voi, alle vostre famiglie e ai vostri collaboratori nonché a tutti i pazienti che possono beneficiare della vostra generosa competenza e dei risultati del vostro lavoro, imparto volentieri di tutto cuore la mia Benedizione Apostolica. Grazie molte!


© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana
Fonte: vatican.va

domenica 13 novembre 2011

Tesori d'arte sacra: la Natività della Vergine

Appeso alla parete sinistra, accanto al trittico affrescato di recente portato alla luce, è custodito il grande quadro della Natività della Beata Vergine Maria, risalente al XVII secolo. Si tratta di un dipinto di scuola veneta che rappresenta la scena della nascita della Madonna secondo quanto la tradizione artistica, specie del periodo barocco, ha immaginato. Il centro di tutta la scena è la Vergine neonata sulle ginocchia della levatrice; una donna, inginocchiata alla sua destra, si affretta a porgere un panno ed un'altra, alla sinistra, prepara una piccola culla in legno finemente intarsiato. Un'aura soprannaturale è conferita dalle figure angeliche che circondano la scena principale, le quali, con le braccia raccolte al petto, si meravigliano per la nascita dell'Immacolata Concezione. Sullo sfondo, a destra, si scorge Sant'Anna, accudita da due ancelle dopo il parto; il letto a baldacchino e le porte che si spalancano su quella che sembra essere l'ampia stanza da letto di un nobile palazzo veneziano sembrano immergere tutti i soggetti nel contesto storico in cui l'opera stessa è stata realizzata, il 1600; questo anacronismo, tuttavia, può trovare spiegazione nella necessità dell'arte sacra di avvicinare le vicende evangeliche e bibliche in una realtà familiare ai fedeli e agli osservatori dell'opera. Dalla parte opposta, sempre sullo sfondo, si vede invece San Gioacchino, padre della Madonna, che, in disparte, sembra ringraziare il Signore per la nuova nascita con gli occhi rivolti verso alto. Dalla finestra alle sue spalle si intravvede un cielo piuttosto scuro illuminato dalla chiara luce dell'aurora, per richiamare a quel titolo di Mistica aurora della Redenzione attribuito alla Beata Vergine Maria. A fare da contorno alla scena, infine, tre angioletti sorreggono un grosso drappo di colore rosso, quasi un divisorio fra quanto succede in primo piano e lo sfondo dell'opera.
La presenza così abbondante degli angeli testimonia come, già all'epoca di realizzazione del dipinto, la nascita della Vergine Maria fosse vista come un punto importante per la Redenzione dell'uomo; è nata Colei che il Signore aveva preservato Immacolata fin dal concepimento, e che avrebbe portato nel suo grembo il Salvatore del mondo. Tutto ciò nonostante il dogma dell'Immacolata Concezione sia stato riconosciuto dalla Chiesa soltanto nella metà del 1800, quindi quasi due secoli dopo.
Un'altra particolarità si ritrova nei colori delle vesti della nutrice, un personaggio che, per la posizione e le dimensioni della figura, sembra quasi avere il primo posto nell'opera, ma che in realtà è il contorno per la neonata Maria Vergine che porta sulle ginocchia, pretesto usato dall'artista per arricchire di significati allegorici la figura della Madonna Bambina. Possiamo vedere il blu ed il rosso, colori che l'iconografia ha associato fin dai tempi più antichi a Gesù Cristo, e simboleggianti la temperanza (il blu) e il Sangue versato nella Passione (il rosso); successivamente, però, e specialmente a partire dal Rinascimento, anche la Vergine è stata spesso dipinta con vesti degli stessi colori. Ritroviamo, quindi, in questo quadro un richiamo a quella che sarebbe stata la vita della Vergine Maria, la quale, obbediente, serbava ogni istante dell'infanzia e della vita del suo Figlio Gesù nel suo Cuore Immacolato e che avrebbe anche lei sofferto, pur senza patire nel corpo, la Passione di Cristo sotto la sua Croce.
Possiamo notare, in conclusione, come la stessa nutrice, ed anche San Gioacchino, indossino una corda, a cingere loro i fianchi, segno di umiltà e, soprattutto, di castità: la castità della vita verginale per la Madonna e la castità della vita matrimoniale per il suo genitore, esempio di famiglia gradito agli occhi di Dio.
Qui sotto un particolare dell'opera.

Natività della Beata Vergine - Particolare

Foto: caorlotti.it e caorle.com

sabato 12 novembre 2011

La questione del gregoriano

Riporto questo articolo apparso sul blog Ecclesia Mater, e segnalato nel blog Messa in latino, a proposito del canto liturgico, e di quello gregoriano in particolare. Si tratta di una lettera scritta dal M° Giannicola D'Amico, direttore della Schola Cantorum S. Cecilia di Monopoli (BA). In esso si fa riferimento ad un intervento del vescovo di Conversano Monopoli, mons. Domenico Padovano, alla conferenza di presentazione del libro di don Nicola Bux(*) dal titolo provocatorio "Come andare a messa e non perdere la fede", sugli abusi liturgici che imperversano oggi in molte chiese. In quell'occasione il vescovo ebbe modo di esporre tutta la sua contrarietà alle tesi esposte nel libro, le quali partono dalle riflessioni di papa Benedetto XVI, che individua le cause della crisi del sacro oggi ed avanza alcune proposte di intervento, tra le quali il recupero del canto gregoriano e della lingua latina nella Forma Ordinaria del Rito Romano e la rivalutazione della Forma Straordinaria, cioè la Messa pre-conciliare, come pozzo da cui attingere anche nella Messa nuova. Pur ammettendo una diagnosi corretta sullo stato di crisi della liturgia al giorno d'oggi, il vescovo di Conversano-Monopoli ribadisce che, secondo lui, la terapia messa in atto dal papa (con l'esempio che egli dà durante le celebrazioni pontificie, il motu proprio Summorum Pontificum e l'istruzione Universae Ecclesiae) sarebbe sbagliata.
Il M° D'Amico, quindi, confuta questa opinione del presule pugliese, affrontando in particolare i temi dell'importanza del canto gregoriano nel Magistero della Chiesa e della comprensibilità del latino. Una frase, nella fattispecie, mi appare importante e profetica:

Mons. Padovano ha ragione a dire che spesso il popolo, nel cantare latino e gregoriano poco o nulla “comprende”. Ma è sufficiente questo per abolirlo? Di questo passo si sopprimerebbe la Comunione perché i fedeli perlopiù, con le categorie della ragione o della cultura che hanno, non capiscono la transustanziazione delle SS. Specie.

Sembrerebbe una tesi un po' ardita e che ci tocca nel nostro orgoglio: come sarebbe a dire che noi fedeli, perlopiù, non comprendiamo il senso della Messa? Ebbene questo video, un'intervista spontanea ad alcuni passanti di Bologna apparso sul sito gloria.tv, sembra purtroppo confermare la tesi del maestro. Ma nessuno si sognerebbe mai di dire che bisogna "abolire" la Santa Messa perché i fedeli non la comprendono. Guardando questo video risulta quanto mai urgente correre ai ripari, e spronare i fedeli ad indagare e conoscere, secondo la retta dottrina della Chiesa, il Mistero del Sacrificio di Cristo realmente presente nella Santa Messa; tuttavia, nelle cose di Fede, la comprensione immediata dei riti passa in secondo piano rispetto al beneficio che da quei riti scaturisce. Cioè, malgrado questa situazione, non è che bisogna "sospendere" o "abolire" la Santa Messa fino a quando i fedeli non avranno capito a cosa vanno ad assistere. Lo stesso accade per il latino nella liturgia ed il canto gregoriano, come ci spiega il maestro D'Amico:

Il canto gregoriano nel senso comune
di Giannicola D'Amico

Qualche sera fa, invitato a dire due parole circa il canto liturgico in occasione della presentazione a Monopoli dell’ultimo libro di don Bux, assistevo alla illustrazione dell’opinione del Vescovo diocesano, mons. Domenico Padovano, il quale non faceva mistero della sua contrarietà alle idee esposte nel libro.
Non entro nel merito di alcune questioni particolari sollevate dal Vescovo, cui risponderanno i liturgisti, ma vorrei soffermarmi sulle affermazioni del Presule circa il canto gregoriano, di cui ha detto “Una grande opera d’arte” ma ne ha negato l’utilità per via della lingua latina, quando esso fosse intonato, come avviene nelle nostre parrocchie, dalle “povere donne che non sanno nemmeno cosa cantano”.
Senza scomodare il rapporto corretto culto pubblico/devozioni private, il quale inerisce anche le questioni musicali (che qui è bene tralasciare, per brevità), bisogna dire con rincrescimento che il Vescovo, su questo punto, commette un errore che però, a sua discolpa, è oggigiorno frequente e comune.
E ciò sia detto col massimo rispetto per l'uomo e, soprattutto, per il ministero che esercita, verso il quale bisogna nutrire la più alta considerazione.
Nessuno al giorno d'oggi, soprattutto nel clero, si sogna di negare valore artistico al canto gregoriano, ma perlopiù gli si nega la sua natura liturgica primigenia e la sua stessa funzione ontologica, se non de jure (e ciò solo perché le fonti primarie del Magistero lo impediscono), almeno abbondantemente de facto.
Esso è, e resta, Parola di Dio cantata.
Ovvero: prima di essere un’opera d’arte è parte integrante e, in alcuni casi necessaria, della liturgia.
Si è totalmente capovolta la prospettiva esistente prima della riforma solesmense, quando il gregoriano – eseguito male o malissimo, trascritto anche peggio, non certo reputato al livello artistico della polifonia sacra o dello stile concertato ecclesiastico - era considerato cifra imprescindibile della liturgia e potente antemurale alle degenerazioni secolaristiche dei riti, veicolate perlopiù attraverso il canale della musica.
Tutto il lavoro esegetico compiuto in Europa sulle fonti del canto gregoriano, dagli anni Cinquanta del XIX sec., aveva ricostruito il volto vero del canto liturgico occidentale facendo recuperare allo sterminato repertorio quella facies estetica perduta nei secoli, senza cacciarlo dalla sua sedes materiae, ma anzi avvalorando l’idea che la Chiesa avesse sempre usato per “spiegare” la Parola di Dio e per rendere il culto nobile ed elevato, uno dei più stupefacenti, polimorfi e appropriati monumenti d’arte di tutti i tempi.
Oggi, dopo più di centocinquantanni di studi liturgici, paleografici, filologici, musicali, semiologici e semiografici, sortiti dall’opera di dom Prospero Gueranger (che non fu un musicista, ma un monaco e un eccelso liturgista) e dei suoi successori di Solesmes, per via di una erronea interpretazione delle disposizioni di quel Concilio Vaticano II che, nella Costituzione liturgica, invece, portò a coronamento le istanze solesmensi, auspicando ulteriori approfondimenti scientifici e più ampia diffusione pratica del gregoriano, assistiamo a questi evidenti sviamenti dovuti a quella che il S. Padre ha definito “ermeneutica della discontinuità”.
La normativa applicativa della Cost. Lit. Sacrosanctum Concilium non fa altro che ribadire questi concetti e anche documenti magisteriali in materia contigua chiarificano il tema.
Mons. Padovano ha ragione a dire che spesso il popolo, nel cantare latino e gregoriano poco o nulla “comprende”.
Ma è sufficiente questo per abolirlo?
Di questo passo si sopprimerebbe la Comunione perché i fedeli perlopiù, con le categorie della ragione o della cultura che hanno, non capiscono la transustanziazione delle SS. Specie.
Si dovrebbe pure abolire la Messa, o riservarla a quei pochi che ne comprendono la intima natura aldilà del semplice dato rituale o precettizio, e si dovrebbe infine mandare in soffitta la dottrina e la dogmatica: quanti riescono a padroneggiare con cognizione di causa l’inabitazione dello Spirito Santo, oppure la immacolata Concezione di Maria?
Ci sarà una ragione per cui la Chiese mantiene ed incrementa tutte queste cose: sono le stesse ragioni per cui il Magistero continua ad indicare nel canto gregoriano la principale voce cantata della liturgia, ovvero che la comprensione esclusiva mediante i sensi e la ragione in subiecta materia non è tutto per la salvezza delle anime, anzi, come canta il Tantum ergo, opportunamente citato dal Vescovo, sarà proprio che “Praestet fides supplementum sensuum defectui”.
Forse il pensiero recente di alimentare questa fede con “cibo” esclusivamente razionale ed ordinario, va rivisto: su queste basi nessuna cattedrale sarebbe stata edificata, nessun mosaico d’oro sarebbe stato composto, nessuna messa polifonica sarebbe stata musicata.
Eppure la Chiesa ha sempre apprezzato, favorito ed utilizzato tali strumenti di evangelizzazione: oggi, però, fa fatica a ri-appropriarsi di queste categorie, confidando in più “aggiornate” strategie pastorali e catechetiche, che quasi sempre relegano le arti liturgiche, o a messaggi pressoché extra-religiosi (le arti dello spazio) o a banalizzazioni che assecondino puramente il nostro povero quotidiano (la musica, arte del tempo).
Forse i motivi pastorali che presiedono al ragionamento di mons. Padovano, dovrebbero essere corroborati - sia detto senza critica al Vescovo che ha espresso la sua opinione liberamente e soprattutto in modo molto chiaro, e di ciò gli va dato pienamente atto - da una maggiore osservanza del Magistero, pontificio e conciliare, della Tradizione della Chiesa e delle norme che presiedono alla celebrazione dei riti.
Il fatto che la Chiesa discuta di ciò è un bene: è viva e non guarda alla limitatezza della sua condizione terrena e presente.
Mi sia permesso dire infine che un criterio strettamente musicale ci permette pure di preferire il semplice canto gregoriano – magari opportunamente accompagnato dall’organo, perché, ad onta dei puristi, anch’esso va inculturato alle realtà parrocchiali, senza pretendere di replicare ovunque la temperie sonora del coro monastico - ai canti che da alcuni decenni si sono gradualmente inseriti nelle nostre liturgie, sul cui livello artistico medio ci sarebbe molto da eccepire, sull’ortodossia dei cui testi a volte è meglio sorvolare, come parimenti sulla loro effettiva partecipabilità da parte di tutti i fedeli che finiscono, a volte, per comprendere poco o nulla egualmente, pur ascoltandoli in italiano (senza dire dei molti canti in inglese, spagnolo, ebraico che ormai saltabeccano qua e là al posto delle antifone).
Se si riacquisisce al senso comune ciò che la legge liturgica prevede e una splendida Tradizione ci ha consegnato, si potrà evitare di confinare il gregoriano nel pur benemerito limbo dei concerti e riportarlo a casa sua, ovvero a servizio e coronamento del Culto divino.
Sarà eseguito poco raffinatamente, come al contrario auspica mons. Padovano memore dell’esempio benedettino in diocesi, che ha giustamente citato, sarà poco compreso dal popolo, che sbaglierà desinenze e ornerà di portamenti le melodie, ma starà al posto suo e ciò non potrà che giovare all’ordine naturale delle cose!
Anche quando si celebra con il Messale di Paolo VI.


(*)Consultore delle Congregazioni per la Dottrina della Fede e per le Cause dei Santi e dell'Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice

mercoledì 9 novembre 2011

Dopo il disastro

Sono ancora negli occhi e negli animi di tutti noi le spaventose immagini di quella che non si può nemmeno definire una semplice alluvione, nei territori delle Cinque Terre prima e della città di Genova poi: un torrente impetuoso che, a causa di condizioni atmosferiche eccezionali, ha distrutto case, automobili, vite umane. Chi di noi ha un'età sufficiente non può fare a meno di ricordare le alluvioni che in passato hanno colpito anche il nostro territorio di Caorle: proprio 45 anni fa, il 4 novembre 1966, il mare, gonfiato da forti venti di scirocco, e la pioggia ingente allagarono gran parte del centro storico, distruggendo la diga; e nell'ottobre di ormai 20 anni fa, quando cinque giorni di pioggia ininterrotta paralizzarono la città per giorni, allagando abitazioni e negozi ai piani terra. Ancora oggi chi ha vissuto uno di questi episodi li ricorda chiaramente nella sua memoria, e prova ancora un certo timore, quando le condizioni del tempo si fanno critiche, che la situazione di quei giorni possa ripetersi.
Possiamo bene immaginare, quindi, quali gravi difficoltà si trovino ora ad affrontare questi nostri fratelli che hanno perso tutto, chi la casa, chi anche il lavoro, o chi addirittura anche dei familiari o delle persone care. E non solo a Genova e in Liguria: sono di ieri, purtroppo, le notizie che anche altrove, in Italia, si sono avute delle vittime per la furia dell'acqua esondata da fiumi e torrenti.

Eventi come questi ci fanno riflettere; in particolare sul modo che abbiamo di concepire lo sviluppo delle città al giorno d'oggi, con una singolare corsa, che a tratti può parere anche ossessiva, a costruire palazzi e gettare colate di cemento senza avere riguardi per eventuali rischi ambientali, valutati spesso con troppa sufficienza nella fretta di realizzare le opere prefissate. Ma ci interroghiamo anche sulla prevenzione: interventi apparentemente semplici, come la pulizia dei fiumi, dei torrenti e dei canali, vengono a volte posticipati, non essendo visibile l'emergenza, ma in seguito si rimpiange di non essere intervenuti quando la situazione meteorologica ed ambientale lo permetteva. E' dunque certo che in eventi come questi noi uomini abbiamo qualcosa da recriminarci, per quanto riguarda le norme di sicurezza e il rispetto dell'ambiente in cui viviamo.

Tuttavia, credo, non dobbiamo dimenticare anche l'eccezionalità di certi eventi. Non per difendere le eventuali omissioni colpevoli degli enti preposti alla sicurezza dei cittadini; ma spesso, con un atteggiamento troppo "colpevolista" nei confronti dell'uomo, si corre il rischio di pensare che in fin dei conti l'uomo sia onnipotente, possa tutto, anche controllare i fenomeni naturali più devastanti, e qualora non ci riuscisse è perché deve aver sbagliato qualcosa, non è concepibile che l'uomo non possa controllare la natura. Non dobbiamo dimenticare che i disastri naturali, come alluvioni o terremoti, esistono, sono sempre esistiti in natura, e malgrado i progressi dell'umanità nel campo della scienza e della tecnica, alcuni di essi appaiono tutt'ora inevitabili, anche quando sono prevedibili. Questo non ci deve, però, portare alla disperazione ed allo scoramento; la precarietà dell'essere umano è insita nella sua stessa vita, come le Scritture e la Chiesa ci insegnano. I credenti ne traggono un invito all'umiltà ed alla temperanza nella vita di tutti i giorni, nonché alla preghiera, certi che le sofferenze della vita di questo mondo, associate alla Passione di Cristo, preludono ad una gioia più grande nell'altro; pur precisando che anche per i credenti certi dolori del corpo e dell'anima rimangono difficili da comprendere e la Fede non va certo presentata come un'anestesia che fa sentire meno il dolore. La Fede, come ha detto il Papa nell'Angelus di domenica scorsa, è però una indiscutibile fonte di speranza, che dà senso (inteso anche come direzionalità) alla vita dell'uomo. I non credenti, d'altra parte, vivono senza speranza e scoprono in eventi tragici come questi tutta l'insufficienza, la piccolezza, l'impotenza dell'essere umano di fronte alle realtà della vita; cose che fanno crollare le convinzioni specialmente di coloro che, pur professandosi atei, forse inconsapevolmente credono in dei quanto mai precari: se stessi, oppure la scienza. Purtroppo, di fronte al mistero di questo dolore così grande, si spalanca il baratro della disperazione, dal quale l'uomo, quando vuole essere solo, non riesce a mettersi in salvo con le sue sole forze.

L'urlo che sembra di udire è quello del salmo: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?", lo stesso che sulla Croce pronunciò il Signore Gesù Cristo. Dov'è Dio quando degli uomini o dei bambini innocenti muoiono, travolti dalla furia delle acque? Dare alle persone che hanno sofferto queste perdite una risposta è sempre molto delicato, ma credo di non essere banale se dico che Egli era accanto a quel volontario che è morto per salvare gente che nemmeno conosceva; o era accanto a quella madre che ha dato la sua vita per salvare quella di suo figlio. Il Signore sa cosa significa la sofferenza che porta fino alla morte e questo è per noi di grande consolazione. A noi, che con i nostri occhi non vediamo altra realtà di quella del mondo, può riuscire difficile capire che, dopo questa sofferenza, può esserci la salvezza; ma il salmo conclude: "Egli non ha disprezzato né disdegnato l'afflizione del povero, il proprio volto non gli ha nascosto ma ha ascoltato il suo grido di aiuto". Chiediamo, dunque, al Signore il dono della Fede, perché questi eventi tragici e dolorosi, dove il male e la morte sembrano avere la meglio, non offuschino in noi la speranza della salvezza che ci ha promesso il Padre, di cui ci ha dato resuscitando il suo Figlio Gesù Cristo. E non dimentichiamo, oltre ad adoperarci per un aiuto concreto agli abitanti delle zone disastrate, di pregare per l'anima delle vittime e per i loro familiari, nonché per tutti coloro che sono stati colpiti da questa calamità ed hanno riportato dei danni.

sabato 5 novembre 2011

Al via il pellegrinaggio in Terra Santa

Sono partiti quest'oggi, di buon mattino, i 28 nostri comparrocchiani, accompagnati dal parroco mons. Giuseppe Manzato, alla volta della Terra Santa, in occasione del grande pellegrinaggio diocesano voluto ancora dal già patriarca Scola come gesto comunitario che suggellasse la visita pastorale (terminata lo scorso 8 maggio). Faranno parte di un gruppo di circa settecento veneziani, nel quale sono rappresentate le comunità del Lido di Venezia, San Lorenzo di Mestre, Eraclea, Carpenedo, Sant'Antonio di Marghera, Sacro Cuore di Mestre e Catene.
Il pellegrinaggio vuole essere un atto di preghiera e sacrificio mentre si visitano i luoghi santi in cui Nostro Signore Gesù Cristo è nato, vissuto, morto sulla Croce e risorto; il motto scelto per questo particolare evento è stato: Maestro, dove dimori? Venite e vedrete. I nostri amici di tutta la diocesi, suddivisi in 14 pullman, faranno visita dapprima ai territori di Nazaret (dove la Sacra Famiglia aveva dimora), del monte Tabor (dove avvenne la Trasfigurazione) e di Cana di Galilea (dove avvenne il primo miracolo di Gesù alle nozze); quindi nella giornata di domani parteciperanno alla Messa solenne nella Basilica dell'Annunciazione. Quindi visiteranno il lago di Tiberiade, Cafarnao, Tabgha e il monte delle Beatitudini, la valle del Giordano e Qumran, Gerico e Betania, Betlemme e Gerusalemme. Non mancheranno, inoltre, visite ad opere di carità e centri di assistenza, come la scuola Santa Maria di Gerico, il Baby Hospital o il centro di rieducazione audio fonetica "Effetà" di Betlemme, presso i quali saranno distribuiti i fondi raccolti in diverse occasioni nella diocesi durante questi ultimi tempi.
Confermata la presenza dell'Amministratore apostolico e vescovo di Vicenza mons. Beniamino Pizziol, che raggiungerà il gruppo dei fedeli da lunedì e vi rimarrà fino a giovedì 10 novembre, e del già patriarca, ora arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, che sarà presente dal 10 al 12 novembre, giorno in cui terminerà il pellegrinaggio.
Da parte nostra, siamo chiamati ad accompagnare i nostri fratelli e sorelle con la preghiera, certi che anche loro si ricorderanno di noi quando si troveranno nei luoghi santi dove ha avuto inizio la Redenzione dell'uomo per opera del Signore Gesù Cristo.

mercoledì 2 novembre 2011

Commemorazione di tutti i fedeli defunti

L'anno liturgico si apre e si chiude con la contemplazione e la meditazione sulle cose ultime, i cosiddetti Novissimi: la morte, il giudizio, l'inferno e il Paradiso. Già dalla prossima domenica, la pagina del Vangelo di san Matteo che narra la parabola delle vergini stolte e delle vergini sagge ci introdurrà decisamente a questi misteri. La giornata di oggi, nella quale commemoriamo tutti i fedeli defunti, ci aiuta a meditare sul primo dei quattro Novissimi, ossia la morte. E' certo questa la prima delle realtà ultime della vita di ogni uomo: con la sua ineluttabilità, essa costituisce l'interrogativo forse più grande che l'uomo da sempre si è posto. Alla luce dell'insegnamento del Signore Gesù Cristo, però, possiamo dare una risposta: Egli ci insegna a considerare la morte non solo come la fine della vita, ma anche come il fine, ovviamente intendendo la morte non come la sola cessazione delle funzioni vitali dell'uomo, ma l'ingresso nell'altro mondo, dove è necessario che i viventi accumulino i propri tesori fin da questa vita. Come spunto di riflessione sul tema della morte in questa giornata vorrei riportare queste testimonianze dal sito www.preghiereagesuemaria.it, tratte dal libro "LE DIVINE PAROLE" Ossia quello che il Signore ha detto ai suoi discepoli nel corso dei secoli cristiani, di R.P. Saudreau - domenicano (Casa Editrice Masietti - 1924).

Morte

1. Perchè morir così presto?

S. Matilde, avendo perduto un santo amico, diceva al Signore: O mio dolcissimo Iddio perchè avete tolto così presto quest'anima dal mondo, ove le sue parole e i suoi esempi avrebbero potuto giovare a tante persone? - « Il violento desiderio ch'egli aveva di possedermi mi ci ha costretto; perchè, come il bambino s'attacca al seno della madre, così l'anima sua si è attaccata a me, e per questa ragione egli ha meritato di ve­nire così presto a riposarsi meco. Ma, per­chè egli doveva ricevere tanta dignità e gloria, fu mestieri che soffrisse qualche in­dugio(1), durante il quale io lo feci ripo­sare sul mio seno ». Ella ripigliò: O ama­bilissimo Signore, quanto tempo si è egli così riposato? - « Lo spazio d'un mattino; finchè l'amore ebbe in lui compiuto tutto quello che gli era stato destinato da tutta l'eternità » (Parte V, c. VIII).

(1) Altre rivelazioni c'insegnano che quanto più un'anima dev'essere elevata in gloria, tanto maggiore dev'essere la sua purezza e per ciò stesso più rigorosa la sua purifica­zione.

S. Alfonso Rodriguez pregando per una persona malata ebbe dal Signore. questa ri­sposta: « Considera ciò che vuoi ch'io faccia, perchè io farò tutto quello che tu vorrai; ma sappi ch'ella non sarà mai preparata meglio di adesso ». Allora il Santo l'abbandonò interamente al beneplacito divino e la ma­lata morì (Vita, dalle sue memorie. Re­teaux, 1890, n. 52).

La Ven. Madre Maria di Sales Chappuis era stata pregata d'interessarsi della salute d'un professore del Collegio Luigi il Grande, a Parigi. Ella lo fece e il Salvatore le fece udire queste parole: « Lasciami fare, l'o­pera mia si va perfezionando; io lavoro per la mia maggior gloria ». E il malato morì nel modo più edificante (Vita, a cura delle Suore di Troyes, p. 215-216).

Questa Venerabile, avendo veduto morire in breve tempo parecchie delle sue Figlie, se ne lagnava con Gesù: voi togliete le no­stre sorelle di mezzo a noi; che ne fate, o Signore? - « Esse cadono nelle mie mani », rispose il buon Gesù con un'espressione di tenerezza e di bontà che la consolò (ibid.., pag. 228).

2. Per bontà Iddio prolunga la vita.

In una lettera al suo confessore del 6 di gennaio 1898, la Madre Maria del Divin Cuore scrisse: « Nostro Signore mi disse dopo la santa Comunione: Ch'egli m'aveva concesso ancora quest'anno di vita per poter un giorno in cielo unirsi più strettamente a me per sempre; che, se fossi morta que­st'anno, l'unione non sarebbe stata così stretta; che, fin da questa vita, egli voleva aumentare e continuare ancora quest'unione; ch'io non dovevo più vivere se non in lui e per lui, nè vedere se non lui, nè cercare se non lui; che, per significare questa novella unione, egli m'aveva fatto vedere l'anno scorso l'invito alle nozze; cosa che io avevo capito come invito per andare in cielo, ma ch'egli aveva inteso come invito all'unione più in­tima fra lui come Sposo e me come sposa an­cora in questo mondo. (Vita, c. VIII).

Maria Giuseppa Fumi un giorno vide in spirito successivamente dinanzi a sè due porte, per cui ella passò. Giunta davanti ad una terza, che brillava come un sole, ella chiedeva parimente di varcarla. Allora ap­parve Maria, colle braccia affettuosamente tese verso la sua figliuola diletta: « Questa porta, diss'ella, non potrebbe ancor aprirsi davanti a te; il tuo ingresso immediato nel soggiorno degli eletti non sarebbe un bene nè per quelli che richiedono il tuo aiuto, né per le anime del purgatorio che hanno bi­sogno d'essere sollevate; ed anche la gloria dell'Altissimo non ci troverebbe il suo van­taggio, perchè hai ancora da guadagnargli molte anime colla preghiera e colla peni­tenza. Quando avrai compiuto tutto quel che il Signore aspetta da te, allora entrerai per regnare con lui; il Diletto non ti affiderà nè agli angeli, nè ai Santi per portarti in cielo, ma verrà egli stesso a prenderti, perchè tu sei accetta alla sua maestà, e quello che tu hai scolpito nel tuo cuore durante la tua vita vi resterà scolpito dopo la tua morte » (Vita, c. xvi).

3. Il Signore alle volte prolunga la vita de' suoi amici per compiacersi nelle loro virtù.

Essendo S. Matilde molto malata, Geltrude conobbe in ispirito che il Signore prolungava ancora la sua vita per qualche giorno. - O Signore, chiese ella, perchè volete ch'ella resti ancora sulla terra? - E il Signore a lei: «È per render completa l'opera, cui nella mia divina Provvidenza ho disposto di compire in lei in questi ultimi giorni. Per questo ella mi servirà in tre modi: io tro­verò in lei il riposo nella sua umiltà; la refezione nella sua pazienza, la ricreazione nelle sue virtù. Così, in tutto ciò che vede e in tutto ciò che ode, ella s'umilia e si mette sempre sotto alle altre, il che mi dà un ri­poso veramente delizioso nel suo corpo e nel­l'anima sua. Poi, per la gioia che mostra nelle sue tribolazioni ed infermità, si vede ch'ella abbraccia con amore la pazienza e sopporta volentieri le sue pene per amor mio; nella qual cosa ella mi presenta una mensa sontuosamente imbandita. Finalmente colla pratica delle diverse virtù ella mi offre un sollazzo in cui la mia Divinità trova le sue delizie » (lib. V, c. IV; ed. lat., p. 324).

4. Ultima malattia degli amici di Gesù. Doni ch'essi ricevono da lui.

S. Geltrude, gravemente malata, domandò al Signore se egli si degnerebbe di trarla da quest'esilio; e il Signore le rispose: « Con codesta malattia io ti avvicinerò a me. Av­verrà quello che avviene ad uno sposo pro­messo la cui diletta sposa dimori in luoghi lontani; egli le chiede di venire; allora egli stesso le invia una numerosa scorta di si­gnori e di soldati che le portino diversi re­gali, la rallegrino col suono dei liuti e dei tamburi e le facciano corteggio con grande apparato e infinite cure, finchè ella sia ar­rivata in un castello poco discosto dal suo palazzo. Là va egli stesso a trovarla, seguito da' suoi signori e da' suoi cortigiani, e, colle più delicate cortesie, le dà l'anello di fedeltà in segno d'unione. Tuttavia la lascia ancora in quel castello fino al giorno delle nozze, in cui egli con gloria ed onore la conduce nel suo imperial palazzo.

« Così, perchè io, Signore Iddio, tuo amante forte e geloso, sono a te unito, e perchè sopporto realmente in te le pene che tu soffri nel tuo cuore e nel tuo corpo, tutti ì miei Santi si fanno premura attorno a te mentre ti avanzi per codesta regia strada, godendo tutti della tua felicità. I liuti, i tamburi, i regali con cui ti si fa onore in questo viaggio, non sono altro che i patimenti e gl'incomodi della malattia, strumenti musicali che risuonano senza interruzione con soavità ai miei orecchi e mi dispongono alla compassione verso di te, eccitando l'affetto del mio Cuore divino a col­marti di benefizi, ad attirarti sempre più e ad unirti a me. E quando sarai giunta al posto che ti è destinato da tutta l'eternità cioè ad un tale esaurimento di forze che la morte apparirà imminente, allora in pre­senza di tutti i miei Santi io ti darò il più tenero bacio coll'anello matrimoniale, cioè il sacramento dell'estrema unzione. Sarà un bacio, perchè io spanderò sopra di te la mia unzione colla soavità intima del mio soffio divino e, in grazia di codesta unzione, non potrà più attaccarsi all'anima tua la me­noma polvere di peccati o di negligenze che possa distogliere da te i miei sguardi più dolci, neppure per un istante.

« Quanto più tu affretterai il momento dell'Estrema Unzione, tanto maggiore sarà la tua felicità; allora resterai così vicina a me che nel momento in cui io mi disporrò a condurti nel mio regno eterno, tu ne sarai tosto internamente avvertita e il tuo cuore sussulterà di gioia preparandosi al mio in­contro. Ed io, tutto riboccante di delizie, ti farò attraversare, serrandoti strettamente nelle mie braccia, il torrente della morte temporale e t'introdurrò, t'immergerò e ti assorbirò nel torrente della mia perfetta di­vinità, ove, divenuta un medesimo spirito con me, con me regnerai nei secoli dei se­coli. Allora per codesti timpani e liuti delle tue sofferenze, onde m'avrai così dolcemente rallegrato durante la via, tu udrai le dolci melodie, proverai i diversi godimenti che sono ora la parte della mia umanità deifi­cata, in ricompensa delle pene che soffrii per la salute degli uomini. Se qualcuno de­sidera d'avere ne' suoi ultimi momenti la con­solazione d'una simile visita, si studi ogni giorno d'imitare le opere della mia vita; metta il suo corpo sotto il giogo e affidi a me le redini, cioè la direzione della sua vo­lontà propria. Speri con fiducia che la mia bontà l'assisterà fedelmente. Mi offra in lode eterna tutte le sue pene e tutte le sue avversità. Se alle volte succede che per fragilità umana egli riprenda le redini che m'aveva consegnate, facendo su qualche punto la sua propria volontà, cancelli tosto tale mancanza colla penitenza e mi abbandoni di nuovo la sua volontà. E la destra della mia misericordia lo prenderà e lo condurrà in onore e gloria al regno dell'eterno splendore » (lib. V, c. xxvii).

Trovandosi agli estremi suor Matilde di Màgdeburgo, S. Geltrude chiese al Signore perchè egli aveva permesso ch'ella delirasse, e il Signore rispose: « E' per far conoscere ch'io opero di più nell'interno che alla su­perfice. (lib. V, c. VII).

5. I dolori che precedono la morte

sono spesso un effetto della divina misericordia. Il Signore fece comprendere a S. Brigida che le pene dure e umilianti che spesso i cristiani subiscono in morte sono un effetto della sua misericordia: « Sono forse io stesso degno di disprezzo perchè la mia morte fu dura e vergognosa? I miei eletti sarebbero essi degli insensati per aver sofferto cose umilianti? No, ma io e i miei eletti abbiamo sofferto cose umilianti, per mostrare colla parola e coll'esempio che le vie del cielo sono dure ed aspre e per far intendere ai cattivi quanto essi abbiano bisogno d'essere purificati, dal momento che anime innocenti dovettero soffrir tanto... Colui che amando Iddio con tutto il suo cuore è afflitto da lunghe infermità, vive e muore felicemente, perchè la morte dura e dolorosa diminuisce il peccato e la pena del peccato e aumenta le corone. Io ti faccio ricordare due defunti, che, secondo il giudizio degli uomini mori­rono d'una morte vile e spregevole; se essi non avessero ottenuto dalla mia misericordia un tal genere di morte, non si sarebbero puntoti salvati. Ma, poichè Dio non punisce due volte quelli che hanno il cuor contrito, essi giunsero alla corona. Gli amici di Dio adunque non devono rattristarsi appunto se hanno a subire dei malì temporali, o se muo­iono d'una morte amara, perchè è un bene piangere un'ora e soffrire in questo mondo e non aver a soffrire in purgatorio, dove non si può fuggire e dove non è più dato il tempo di meritare » (lib. IV, C. XL).

« Molti, avvolti nelle reti dei peccati, ot­tengono la contrizione prima di morire e la loro contrizione può essere così perfetta che non solo il peccato è loro perdonato, ma ancora la pena del purgatorio, se essi muo­iono nella medesima contrizione » (lib. VIII, C. XLVIII).

6. Gli ultimi momenti dei peccatori, degl'imperfetti e dei perfetti.

Parole di Dio a S. Caterina da Siena: «I demonii sono ministri incaricati di tormen­tare i dannati nell'inferno e di esercitare e provare la virtù delle anime in questa vita. La loro intenzione non è certamente di provare la virtù, perchè non hanno la ca­rità; essi vogliono distruggerla in voi, ma non lo potranno mai fare, se voi non volete consentirvi.

« Ora considera la pazzia dell'uomo che si rende debole per il mezzo appunto ch'io gli avevo dato per esser forte, e che si abban­dona da se stesso nelle mani del demonio. Perciò voglio che tu sappia ciò che accade nel momento della morte a quelli che, du­rante la loro vita, hanno volontariamente ac­cettato il giogo del demonio, il quale non poteva costringerveli.

« I peccatori che muoiono nel loro pec­cato, non hanno altri giudici che se stessi; il giudizio della loro coscienza basta, ed essi si precipitano con disperazione nell'eterna dannazione. Prima di passarne la soglia, essi l'accettano per odio della virtù, scelgono l'in­ferno coi demonii, loro signori.

« All'opposto i giusti, che vissero nella carità, muoiono nell'amore. Quando viene il loro ultimo istante, se hanno praticata perfettamente la virtù, illuminati dal lume della fede e sostenuti dalla speranza del sangue dell'Agnello; veggono il bene che io ho loro apparecchiato, e colle braccia dell'amore lo abbracciano stringendo con strette d'amore me sommo ed eterno bene nell'ultima estre­mità della morte. E così gustano vita eterna prima che abbiano lasciato il corpo mortale, cioè prima che sia separata l'anima dal corpo.

« Per quelli che passarono la loro vita in una carità comune senza aver raggiunta quella gran perfezione, quando arrivano alla morte, essi si gettano nelle braccia della mia misericordia col medesimo lume della fede e colla medesima speranza ch'ebbero in un grado inferiore. Essendo stati imperfetti, essi abbracciano la mia misericordia, perchè la trovano più grande delle loro colpe. I pec­catori fanno il contrario: essi veggono con disperazione il posto che li attende e con odio l'accettano.

« Gli uni e gli altri non attendono di es­sere giudicati, ma partonsi di questa vita, e riceve ognuno il luogo suo. Lo gustano e lo posseggono prima che si partano dal corpo, nell'estremità della morte. I dannati seguono l'odio e la disperazione; i perfetti seguono l'amore, il lume della fede, la speranza del sangue dell'Agnello; gl'imperfetti si affidano alla mia misericordia e vanno in purgatorio » (Dialogo, c. XLII).

7. Pace delle anime sante nel momento della morte.

« Quant'è felice l'anima dei giusti quando essi arrivano al momento della morte... A costoro non nuoce la visione dei demonii, perchè veggono me per la fede e mi posseg­gono per l'amore e perchè in loro non è ve­leno di peccato. La oscurità e terribilezza loro ad essi non dà noia nè alcun timore, perchè il loro timore non è servile, ma santo. Onde non temono i loro inganni; perchè col lume soprannaturale e col lume della Sacra Scrittura ne conoscono gl'inganni; sicchè non ricevono tenebre nè turbazione di mente. Essi muoiono gloriosamente bagnati nel sangue del mio Figliuolo, colla fame della salute delle anime e, tutti affocati nella carità del pros­simo, passano per la porta del Verbo divino, entrano in me e dalla mia bontà sono collo­cati ciascuno nello stato suo, e vien misurato loro secondo la misura che hanno recata a me dell'affetto della carità » (Dialogo, ca­plt. CXXXI).

8. Il demonio e il peccatore morente.

« Quanto spaventosa e terribile è la morte dei peccatori! Nei loro ultimi momenti, il demonio li accusa e li spaventa apparendo loro. Tu sai che la sua figura è tanto orri­bile, che la creatura eleggerebbe ogni pena, che in questa vita si potesse sostenere, an­zichè vedere il demonio nella visione sua.

« E tanto si rinfresca al peccatore lo sti­molo della coscienza, che miserabilmente lo rode nella coscienza sua.- Le disordinate de­lizie e la propria sensualità, la quale si fece signora e la ragione fece serva, l'accusano miserabilmente, perchè egli allora conosce la verità di quello che prima non conosceva. Onde viene a gran confusione dell'errore suo; perchè nella vita sua visse come infedele e non fedele a me; perchè l'amor proprio gli velò la pupilla del lume della santissima fede. Onde il demonio lo molesta d'infedeltà, per farlo venire a disperazione.... In questo gran combattimento egli si trova nudo e senza alcuna virtù; e da qualunque lato si volti, non ode altro che rimproveri con grande confusione » (Dialogo, csaxu)(2).

(2) Le anime dei dannati, all'uscire dal loro corpo, sono invase dalle tenebre, dall'orrore, dal fetore, dall'amarezza, da una pena intollerabile, da una tristezza indicibile, dalla disperazione e da un'angoscia infinita. Sono in se stesse così devastate e destituite di tutto che, quand'anche non cadessero nell'inferno e in potere dei demonii, i mali di cui sono ripiene sarebbero per loro una tortura sufficiente (S. Matilde, P. V, c. xxi).

9. Come si fa per gli amici di Gesù il viaggio dalla terra al cielo.

Nella sua ultima malattia, Geltrude, pre­parandosi alla morte, disse al Signore: qual sarà il carro che mi porterà quando mi troverò in quella regia via che deve con­durmi a voi, mio unico Diletto? -- « La forza potente del desiderio divino, che partirà dal mio amore intimo, verrà a prenderti e a condurti fino a me », le rispose il Signore. - Su che potrò io sedermi? - « Sulla piena fiducia, la quale, facendoti sperare ogni bene dalla mia liberale bontà, sarà il sedile su cui siederai in questo passaggio ».

Con quali redini dirigerò io la mia corsa ? - « L'amore ardente che ti fa sospirare dall'intimo delle viscere ai miei amplessi ti servirà di redini. » La Santa soggiunse: siccome ignoro quello che è più necessario per viaggiare così, io non m'informerò di quello che ancora mi occorre per compire questo viaggio desiderabile. Il Signore rispose: «Per quanto grandi siano i tuoi desideri, avrai la gioia di trovare infinitamente di più, e la mia delizia è vedere lo spirito umano impo­tente a immaginarsi tutto quello ch'io ordi­nariamente preparo a miei eletti» (Lib. V, c. YXIVV).

« Quando l'anima tua uscirà dal tuo corpo, io ti metterò come all'ombra della mia protezione paterna, così come una madre tiene stretto al suo petto e nascosto sotto le sue vesti l'amato frutto delle viscere sue, allorchè attraversa un mare burrascoso. E poi, quan­d'avrai pagato il tuo debito alla morte, io ti prenderò meco per farti gustare le delizie incantevoli dei celesti spazi verdeggianti, come una madre che vuole che anche il suo bambino abbia parte alla gioia che si prova allo sbarcar sicuramente in porto, dopo averlo preservato dalle noie e dai pericoli del mare. (lib. V, c. xxv).

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