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venerdì 7 settembre 2012

Anno della Fede in Patriarcato

“Vi attendo, tutti, con le vostre comunità”: è il Patriarca stesso che fissa e lancia l’appuntamento al grande momento comune che riunirà la diocesi di Venezia a metà ottobre in Piazza S. Marco, all’inizio dell’Anno della Fede. Lo fa attraverso una lettera - firmata il giorno del Redentore e poi inviata ai preti del Patriarcato - nella quale anticipa e spiega ai suoi “confratelli” i caratteri principali, le motivazioni e le finalità del cammino che la Chiesa veneziana si appresta a compiere. “Invito voi presbiteri - scrive mons. Francesco Moraglia - con i diaconi, i religiosi, le religiose, le persone consacrate, i fedeli laici e tutte le aggregazioni ecclesiali alla Santa Messa per l’inaugurazione diocesana dell’Anno della Fede che celebreremo in Piazza San Marco domenica 14 ottobre alle ore 15.30. La Chiesa che è in Venezia è convocata, sotto la presidenza del Vescovo, all’altare dove, celebrando il mysterium fidei, intende iniziare un cammino di grazia”.

Il Patriarca cita subito le parole poste dal Papa all’inizio della lettera apostolica “Porta fidei” - “La porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi” - per sottolineare che ”l’anno della fede è rivolto, prima di tutto, alle nostre comunità che, nel loro cammino di conversione e purificazione, devono riscoprirsi soggetti vivi di evangelizzazione; tutti, infatti, siamo chiamati a tener fisso lo sguardo su Gesù origine e compimento della fede. L’invito a tenere la porta aperta riguarda i credenti, ossia le nostre comunità ecclesiali che vorremmo fossero più capaci di riflettere il volto luminoso di Cristo”. E poiché “l’eucaristia è il momento in cui la Chiesa si esprime nel modo più vero e compiuto, ecco perché si è scelto d’iniziare l’anno della fede celebrando all’altare il mistero del corpo e del sangue del Signore. Non si tratta di organizzare qualcosa di più o di progettare qualche nuovo evento ma di vivere il mysterium fidei: essere Chiesa, ovvero porta aperta sul mondo, poiché Gesù, dopo la sua morte/resurrezione, non è più accessibile tramite il suo corpo fisico ma quello ecclesiale”.

Mons. Moraglia evidenzia così il cuore e l’obiettivo dei prossimi mesi: non “compiere servizi” ma puntare a “vivere una vera esperienza di fede”, “ritornare alle radici della fede, all’incontro col Signore Risorto”. Celebrare insieme la messa a San Marco, prosegue, “vuol dire affermare che il culto è l’atto di fede più alto” e quindi spetta “a noi renderlo operante anche a livello sociale, attraverso una testimonianza di vita realmente rinnovata a contatto col corpo e sangue del Signore. Il convenire sotto la presidenza del Vescovo, attorno all’altare del sacrificio è già testimonianza di fede di fronte alla città e per noi impegno, offerta, proposta di stare con Gesù e come Gesù in mezzo ai fratelli”. Si tratta, allora, di “rilanciare la pastorale ordinaria, grazie alla quale vivono le nostre comunità, così da rendere visibile e concreta la fede, lungo il cammino dell’intero anno, rispolverando i binomi: grazia e fede, libertà e vita di fede, revisione di vita e fede, fede e opere, fede e carità, fede e speranza. In modo che la nostra vita sia - in qualsiasi momento - concreta testimonianza di fede”. Il Patriarca osserva ancora che “celebrare l’eucaristia è annunciare la Sua morte, proclamare la Sua resurrezione, nell’attesa della Sua venuta; l’eucaristia è riscoprire il centro di ogni cosa. La celebrazione eucaristica d’apertura, quindi, va intesa, preparata e vissuta per quello che è; si tratta di un evento ecclesiale: la liturgia è culmine della vita del cristiano; la Fede e l’amore s’esprimono, in modo pieno e compiuto, proprio nel segno della Chiesa locale, convocata dal Vescovo, attorno all’altare”.

Nella stessa lettera si ricorda che, proprio in occasione della celebrazione di domenica 14 ottobre, verrà consegnata a tutti la prima riflessione (di tre in programma) che il Patriarca intende offrire alla Chiesa di Venezia, come pista per un cammino comune. Le due successive saranno poi proposte nell’ambito di altrettante istruzioni previste, a livello zonale, rispettivamente nel febbraio e nel maggio 2013. In quest’ultimo mese, inoltre, si terrà anche il pellegrinaggio diocesano a Roma sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo.

Con l’occasione, mons. Moraglia ha voluto comunicare ufficialmente ai sacerdoti una nuova iniziativa. E’ “un appuntamento diocesano mensile - annuncia il Patriarca - che ci accompagnerà lungo l’Anno della Fede ma, spero, anche dopo: il pellegrinaggio “mariano”, la mattina del primo sabato del mese, con l’intenzione di preghiera dedicata in modo particolare alle vocazioni alla vita sacerdotale e di speciale consacrazione. Vuol essere un momento semplice e familiare che, sono convinto, potrà unire i partecipanti in una vera amicizia spirituale”. Nel box a fianco c’è il calendario già fissato con gli orari previsti; tutti i pellegrinaggi mariani mensili saranno guidati dal Patriarca Francesco e vedranno la costante presenza della comunità del Seminario. Il Patriarca invita sin d’ora tutti a prendervi parte: sacerdoti, diaconi, religiosi, consacrati e laici. Saranno inoltre coinvolte, evidentemente in modo speciale, le comunità e le realtà aggregative (parrocchie e vicariati in primo luogo) che, di volta in volta, ospiteranno il pellegrinaggio sul loro territorio.

 Alessandro Polet

Pellegrinaggi mariani mensili guidati dal Patriarca e alla presenza della comunità del Seminario

In preghiera per le vocazioni, ogni primo sabato del mese

  • 6 ottobre 2012: dalla chiesa dei Gesuati al Seminario / Basilica della Madonna della Salute (Venezia)
  • 3 novembre 2012: chiesa Madonna della Salute (Catene – Marghera)
  • 1 dicembre 2012: chiesa S. Maria della Speranza (Mestre)
  • 5 gennaio 2013: chiesa S. Maria della Pace (Bissuola – Mestre)
  • 2 febbraio 2013: basilica S. Maria Gloriosa dei Frari (Venezia)
  • 2 marzo 2013: santuario S. Maria Assunta (Borbiago di Mira)
  • 6 aprile 2013: santuario Madonna dell’Angelo (Caorle)
  • 4 maggio 2013: chiesa S. Maria Ausiliatrice (Gazzera –Mestre)


Orari:

7.30 – Rosario meditato

8.15 – S. Messa

9.00 – Colazione fraterna

Durante il pellegrinaggio sarà possibile accostarsi al sacramento della Riconciliazione


Fonte: patriarcatovenezia.it.

mercoledì 5 settembre 2012

Sull'accanimento terapeutico

A due giorni dal funerale del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, riprendo questo articolo dal blog Campari e De Maistre a proposito della questione dell'accanimento terapeutico. A corpo ancora caldo, non appena saputa la notizia del rifiuto dell'accanimento terapeutico, i soliti noti anticlericali non si sono risparmiati critiche feroci alla Chiesa cattolica ed alla sua dottrina, sparando senza controllo falsità che prontamente sono state accolte dall'eruditissimo (ossimoro) mondo di Facebook: ma qui, lo si sa, la realtà è ormai diventata una questione di maggioranza, e molti utenti sarebbero pronti a giurare di avere cinque teste e sei gambe, se l'affermazione avesse un sufficiente numero di likes e shares. Agli utenti ancora capaci di ragionare un minimo con la propria testa e disposti a sentire obiettivamente come stanno le cose propongo, dunque, la lettura di questo articolo, ricco di referenze e rimandi ai documenti ufficiali della Chiesa.

Il cardinal Martini: l'accanimento terapeutico e quello dei soliti sciacalli
Di Giacomo Diana

E' ufficiale: l'anafabetismo religioso è alle stelle. Il Cardinale Martini è morto, rifiutando l'accanimento terapeutico. Apriti cielo: tutti i media hanno presentato il gesto del prelato come un atto di rivolta e dissenso al Magistero della Chiesa, ignorando - tuttavia - che la Chiesa da sempre ne consente il rifiuto; la stessa scelta fu presa anche dal morente Giovanni Paolo II.

Da Vendola a Fo, fino ai Radicali: il cardinale è divenuto l'eroe del dissenso tra i prelati.

Il leader di Sel Nichi Vendola ha affermato che Martini "sceglie il primato della dignità, un atto straordinario su cui tutti, a partire dai vertici della chiesa, devono riflettere". Parte del popolo della Rete, al solito sensibile alle suggestioni tanto al chilo, adotta seduta stante il porporato morente ed inizia a rumoreggiare di "ultima lezione teologica" e di "esempio alla Chiesa per la Chiesa": "Almeno Martini sapeva che il Medioevo è finito". Gran parte - invece - ne approfitta per dar sfogo al livore anticlericale: "Questi maledetti preti negano alle persone una morte dignitosa, ma per essi sclegono eccome. Ipocriti". Non son neppure mancati - e come avrebbe potuto essere diversamente? - quelli che hanno poi augurato al cardinale (e poi al resto del clero) di finire all'Inferno. Ammirevole.

Da lì in avanti, il coro è pressoché unanime. Estrema sinistra, Radicali, maestri del pensiero radical chic, persino qualche isolata voce di centrodestra, come quella del deputato del Pdl Alfonso Papa ("Il suo no al sondino fa riflettere"). Parenti Welby ed Englaro a tracciare paralleli tra le vicende dei propri cari e quella di Martini. Dario Fo butta lì che la scelta di rifiutare l’accanimento terapeutico "è stupenda e mostra che tipo di persona fosse". Tutti in fila per rendere il più ipocrita degli omaggi, per travestire da pietà la smania di andare a sventolare quel corpo in faccia alla Chiesa dicendo: visto che anche i vostri ci danno ragione?

Ma la situazione - invero - è alquanto triste, e attesta non solo una generale ignoranza crassa (della società e dei media), che non porta a fare alcun distinguo tra eutanasia e accanimento terapeutico, ma anche l'analfabetismo religioso di quanti attaccano la Chiesa senza neppure conoscerne la dottrina.

Che differenza c'è tra eutanasia e rifiuto dell'accanimento terapeutico?

L'eutanasia è il procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica. L'individuo, tuttavia, non è in fin di vita. Si tratta di una scelta di non accettazione della compromissione della propria condizione fisica, per cui si sceglie la morte come via di fuga. Questa è l'eutanasia, a cui la Chiesa è da sempre contraria.

Il rifiuto dell'accanimento terapeutico è - invece - il prendere semplicemente atto che non c’è più niente da fare, che non c’è alcun intervento che può cambiare una situazione ormai irreversibile, per cui vengono interrotte quelle pratiche mediche volte solo al prolungare al malato un'agonia dall'esito di morte ormai certo.

Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: “L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente” (CCC, 2278).

Ribadisce pure il documento della Pontificia accademia per la vita sul “Rispetto della dignità del morente” del 2000:

“Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita poiché vi è grande differenza etica tra ‘procurare la morte e ‘permettere la morte’: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa” (6).

Ed è la migliore descrizione della scelta del cardinale Martini.


Fonte: campariedemaistre.com.
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